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E poi, niente. Capita. Di nuovo. Ormai anche troppo spesso, purtroppo.
Capita che ti alzi al mattino e ti senti un sopravvissuto, anche se i km che ti separano dalla strage sono parecchi. Anche se non sei ferito, né impolverato. Ma toccato, sì. Anche da km di distanza.
Perché quando senti parlare di aeroporto o di metropolitana o di treno, di Bruxelles, Londra, Roma o Parigi, capisci che ci sei tu. Che avresti potuto esserci tu. Perché Milano è come Bruxelles. Perché sei stato a Bruxelles. C’è stata tua sorella, un tuo conoscente, o dei tuoi amici. E se non ci sei stato, hai pensato di andarci. E se non ci hai pensato, avresti potuto farlo.
Perché, con l’aereo, si tratta di un paio d’ore. Lo stesso tempo che ci impieghi, in auto, per raggiungere Bergamo o Brescia. A fronte di questo semplice calcolo, tutto il mondo sembra più piccolo.
Ma, non per questo, è automatico arrivare a pensare che ogni uomo sia mio fratello. Il solo fatto che succedano attentati come questo ne è la dimostrazione. Tangibile e innegabile.
Uomini, donne, bambini. Ricchi e poveri. Perché essere viaggiatori comporta questo. Perché, al giorno d’oggi, ormai, prendere un aereo non è più una modalità di viaggio riservata ad un’élite di nicchia: è un’opzione considerabile da (quasi) tutti e alla portata di (quasi) tutti.  Se il tempo è prezioso, perché perderne viaggiando con altri mezzi, quando poi l’aereo rischia di essere più economico di altre soluzioni?
Ancora una volta, l’innocente si ritrova a pagare colpe che non ha commesso. La morte è portata, per mano della violenza, nel mezzo di un luogo pubblico, senza alcuna ragione apparente, se non quella del veicolo dell’odio, della ricerca di potere e, forse, di danaro.
Forse questo, ci porta ad una reazione di paura: vedere una violenza cieca  e senza possibilità di prevederne le mosse, ma, forse – e soprattutto – l’impotenza di chi si dice incaricato del comando. E che, forse, dimentica che, prima del potere, c’è una responsabilità cui si sarà chiamati a rispondere. Perché, a fronte di un dispiego di forze militari mai visto da tanto tempo a questa parte, come non chiedersi come sia possibile – nonostante questo – che, nuovamente, ci siano vittime, ci sia dolore, ci siano domande che veleggiano nell’aria rispetto ad un dramma che ci sembra così vicino nella sua banale incomprensibilità da mettere ko più la mente che il cuore. Sì, perché il cuore ancora riesce a battere: se chi ha subito un lutto ancora non ha ceduto all’odio ingiustificato e cieco, anche il nostro può continuare ad amare. ma il cervello si paralizza, talvolta, di fronte a una questione che appare, sulle prime, impenetrabile all’intelletto.
Sarò provocatoria, ma la prima domanda che a me è venuta è stata: possibile che mai un politico rimanga coinvolto? È vero la famosa “gente comune” è senz’altro più numerosa, ma: siamo a Bruxelles, la sede del parlamento europeo, c’è una concentrazione di politici anche superiore alla media e se c’è qualcuno che, più degli altri, utilizza d’abitudine l’aereo, questi sono i politici! Per cui, pur consapevole dei dati statistici, questo dettaglio è quanto meno sospetto. Si sa, che tra animali della stessa specie non ci si colpisce mai. Quindi, mi viene da pensare che il confine tra terroristi con le armi in pugno e terroristi in giacca e cravatta pronti a finanziarli, se ci si trova un tornaconto sufficientemente appetibile, forse, il confine è molto più labile di quanto i media vogliano farci credere.

Lo so, il discorso che segue è provocatorio e probabilmente molti non lo condivideranno. Ma è interessante notare come gli stati, nella stragrande maggioranza dei casi, si arroghino il diritto (e il monopolio) nella possibilità di utilizzo delle armi e legittimino il proprio diritto a perquisire, controllare le persone ed invadere la privacy dei cittadini, con l’alibi di farlo in nome del mantenimento della sicurezza. sicurezza che, però si è dimostrato non sono in grado di garantire nonostante, in diversi ambiti e ambienti, il clima sia ormai diventato da stato d’assedio. Al contempo, l’unico luogo in cui gli unici ad essere vittime dell’attentato sono stati gli attentatori, finora, è stato il Texas, il tanto vituperato Texas, criticato a causa della sua politica liberale riguardo al porto d’armi. Tuttavia, i dati riguardo alle vittime per arma da fuoco, incidenti compresi, sembrano, al contrario di quanto ci vogliono far credere, inferiori proprio in quei posti nei quali la liberalizzazione di armi è maggiore (alcuni dati al riguardo). Questo perché la possibilità di possedere armi non è – necessariamente – sinonimo di un suo utilizzo massiccio ed indiscriminato, ma andrebbe – piuttosto – vista come la possibilità di consentire ai cittadini di potersi difendere da aggressioni con una velocità che è – per forza di cose – maggiore dell’appello alla polizia quale unica via. In determinate situazioni, la velocità di decisione e l’opportunità di intervento immediato diventano particolarmente significative. Per utilizzare un esempio concreto, di fronte a stragi come quella avvenuta al Bataclan, così come qualunque altra aggressione che avvenga in luogo chiuso, con una grande concentrazione di persone, le opzioni possibili per una persona disarmata  che abbia conservato un minimo di lucidità sono sostanzialmente due: la prima è allontanarsi dal fuoco nemico, nascondersi e sperare in qualche modo di sfuggire alla furia omicida in atto; se ciò, per qualunque motivo non accade, la seconda opzione che si prospetta è fare la fine del topo, poiché, in un luogo circoscritto, la fuga è senz’altro ostacolata dalla natura stessa dell’ambiente.
Un’osservazione a cui si pensa di rado è che «una società dove i cittadini pacifici sono armati sarà molto più probabilmente una società dove fioriranno Buoni Samaritani che volontariamente vanno in soccorso delle vittime dei crimini. Se invece togli le armi ai cittadini, allora il pubblico – con conseguenze disastrose per le vittime – tenderà a lasciar affrontare il problema alla polizia. Prima che lo Stato di New York bandisse le pistole, esempi di Buoni Samaritani erano molto più diffusi che oggi. E, in un recente sondaggio sui casi di soccorso volontario, non meno dell’81% dei Samaritani intervenuti possedevano pistole. Se desideriamo incoraggiare una società dove i cittadini vengono in aiuto dei vicini in pericolo, non dobbiamo sottrarre loro il vero potere di fare qualcosa contro il crimine. Sicuramente, è il culmine dell’assurdità disarmare la popolazione pacifica e poi, come è piuttosto comune, denunciarla per “apatia” per non essersi precipitati a soccorrere le vittime di un attacco criminale» (Kates).
Considerando poi, che in realtà tutti gli oggetti sono potenziali armi e che ciò che rendo une strumento un’arma non è la sua conformazione, bensì l’utilizzo che se ne fa (l’esempio più classico è il bisturi con cui il chirurgo salva vite umane, ma è oggettivamente molto affilato e, senz’altro, nelle mani di uno squilibrato perderebbe immediatamente la propria funzione salvifica diventando o avendo la possibilità di diventare strumento di morte), risulta particolarmente evidente una sorta di ipocrisia di fondo nello sventolare il divieto al possesso di armi come grande conquista di civiltà e di progresso. In realtà non è così. Una società basata sul proibizionismo è una società rimasta “piccola”. Per fare un paragone con l’educazione, infatti, è coi bambini piccoli che imponi il divieto; una volta cresciuto, al ragazzo proponi valori in base ai quali fare scelte autonome che guardino al Bene. Se questo passaggio non avviene: se quando il ragazzo è ormai grande i coltelli sono sequestrati, non ha accesso alla cassetta degli attrezzi o ad una presa elettrica, non abbiamo una vittoria della civiltà, bensì una sconfitta dell’educazione. Lo stesso dicasi a livello civile: se uno stato deve proibire il possesso di uno strumento, per evitare che vi sia un utilizzo sbagliato dello stesso, è evidente che qualcosa non ha funzionato nell’educazione e non vedo molto per cui gioire, francamente.
Del resto, ciò che realmente porta alla frustrazione e al terrore è proprio l’impossibilità di reazione. E ad un governo questo è utile. Così come lo è a chiunque voglia avere il controllo su qualcun altro. Ecco allora trovato il motivo per cui i governi sono i primi ad avere interessi con il terrorismo, per cui, pur non avendo natura complottista, non mi stupirei allo scoprire che servizi segreti e terrorismo non sono altro che due facce della medesima medaglia. Basti pensare alla proposta, realmente ventilata, di installare un microchip sottocutaneo, quale misura di sicurezza. È ovvio che, in condizioni normali, una persona normale si ribelle ad un evidente sopruso nei suoi confronti ed un innegabile abuso di potere con il quale si trova controllato dal proprio Stato. Ma diverso è il caso di fronte ad una persona di cui il terrore si è impadronito: credendo all’alibi della propria sicurezza personale, arriva a dirsi disposto a barattarvi la propria libertà personale, accettando, persino di buon grado, di limitarla volontariamente, pur di sfuggire a disegni di morte che vede persino dove pericoli non ci sono.
Del resto, niente di nuovo sotto il sole. È il terrore che tiene sotto scacco gli schiavi e ne fa ottimi esecutori perché ne annebbia la mente e le facoltà intellettive.
Al potere non piacciono sudditi in grado di pensare. Chi pensa, da sempre, costituisce un immane pericolo.


Alcuni link per approfondire:

Bruxelles sotto attacco (Ansa)

Attacco al cuore dell’Europa (Repubblica)

Una società armata è una società libera

Sulla regolamentazione delle armi da fuoco

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