Discendente da un casato di pastori, i suoi guerriglieri più fidati li andò a scovare di mezzo ad una ciurma di pescatori, sul fare di un mattino assai crudele. Dal tempo del Padre a quello del Figlio, mutò il mestiere di chi venne scelto, ma la preferenza rimase la medesima: «Sembra che Dio avesse una certa propensione per le canaglie» (T. Radcliffe). Appassionatosi al mare e alle sue stramberie, il Nazareno non perse la memoria delle altezze: zone tipiche dei pastori più che dei pescatori. Le serbò sempre come scenario preferito delle sue prefigurazioni e degli anticipi: le tentazioni e le beatitudini, la trasfigurazione e la Croce. Sempre verso l’alto, a sputar sangue su per i tornanti infingardi. A salire, la montagna non ne guadagna: chi la scala fin a toccare-vetta, però, non tornerà mai a valle com’era prima. In ogni cima s’è andata a nascondere una sorta di annunciazione: salirle incontro è mettere in conto di scendere diversi.
Li ha visti storditi i suoi guerrieri, nelle vicinanze di Cesarea. Lo Sbruffone – perduta la sfida col Figlio dopo essere stato minacciato dal Padre – mica mollò la presa. Andò a ficcarsi alle calcagna delle creature: “Metti in ordine il mondo da solo: che ti serve Dio?” Il dubbio è il terreno da gioco preferito di Lucifero: sempre tonico e millantatore quell’angelo decaduto. Appetitoso, anche se merce scaduta: «Anche Satana ha i suoi miracoli» (I. Calvino). A provocazione, Cristo reagisce: “Tu quaggiù li confondi? Bene: io li porto in alto e farò venire loro la pelle d’oca da quanto bello sono. Mostrerò loro chi sei: il principe dei farabutti”. Ne prende tre: non i più santi, non i più eroici. I loro soprannomi sono la-Pietra e i Figli-del-Tuono: quando il Cielo adopera l’ironia, è da capottarsi dalle risate. Li acciuffa Lui, per menarli su per la montagna: dall’alto, la visione d’insieme sarà migliore. Giù da basso, Lucifero ha confuso le carte ch’è una meraviglia: il Dio di Gesù è inaffidabile. Lassù, spetterà al Figlio riaccreditare il Padre: è affidabile, altroché. Uno contro l’altro, fino all’ultimo: una guerra giocata di fioretto più che d’artiglieria. Quella si serberà per la mossa finale.
Toccata la vetta, la Roccia e il Tuono cappottano: «Caddero con la faccia a terra» (Mt 17,4). Per stenderli, loro che si dicevano uomini di sicura resistenza, è bastata una visione: di quel biancore nessun lavandaio sulla terra era capace. Tenta, Pietro il loquace, l’avventura di rispondere alla luce. Scatena un rombo di fuoco, d’appetito: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo» (Mt 17,5). Nel Vangelo di Marco, scrittore scarno ed essenziale, quella voce torna due volte: al battesimo nel Giordano (il punto geografico più basso del suo Vangelo), sul monte della trasfigurazione (il punto geografico più alto del suo racconto). Nel punto più basso, nel punto più alto: “Nessun dubbio su mio Figlio: è affidabile”. Satana è ingabbiato: accerchiato, raddoppia l’orgoglio e la fantasia. Un appunto, come promemoria. Il 6 agosto, nella liturgia, è giorno di festa della Trasfigurazione; nella storia, è il giorno in cui venne sganciata su Hiroshima Little Boy, la prima bomba atomica. Quel giorno l’uomo offese il sogno di Dio: mise ordine nel mondo senza di Lui. Rimarranno così, accoppiati ad oltranza: grano e zizzania, consolazione e disperazione, vita e morte, bellezza e inferno, Lui e l’altro. Nessuno obbliga a seguire Cristo.
Lassù in vetta, il Dio affidabile li stese a terra con un anticipo di ciò che sarà: li fece svenire come il più scaltro degli amanti, il più feroce seduttore. La “sindrome di Stendhal” è discendente della “sindrome dell’Hermon”: ad animi umani, la bellezza arreca batticuore. Con la maiuscola, è batticuore più vertigini. Sii benedetto, Dio fedele e affidabile: Dio bellissimo. Poi li sveglia: «Toccatili, disse: Alzatevi e non temete» (Mt 7,17). Mica un favore l’essere da Lui sedotti: è la più febbrile delle responsabilità. Dalla vetta si potrà solo scendere.
(da Il Sussidiario, 20 febbraio 2016)
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