Ci sono mondi inimmaginabili che possono prendere vita da un momento all’altro. Ci sono foreste tropicali, avventure tra i ghiacci, mondi magici e fatati, uomini bassi dai piedi pelosi ed elfi leggiadri dalle orecchie a punta e dal linguaggio misterioso, storie di crociere finite male e viaggi in nave su un’isola ricca di cose preziose, ma anche di insegnamenti per la vita. Tutto questo può prendere vita, nella nostra mente, quando apriamo un libro ed iniziamo a leggere.
Ecco perché leggere apre la mente: è la possibilità di spalancare gli occhi sul possibile dell’immaginabile, dove i nostri desideri più arditi possono prendere le forme più concrete e palpabili.
Note sottili ed affrettate come quelle che esalano i violini, sensazione di saltelli e di danza che regala la viola, rumori di battaglie epiche nei suoni più gravi del timpano e del corno; e poi ancora impressioni di cascate, di colori sgargianti o tenui, atmosfere antiche o moderne, suoni di rivalsa e di lotta, rilassamento o torpore. Perché tante sono le sensazioni che la musica può regalarci, che si tratti di un concerto di musica classica, sinfonica, pop, rock o di qualunque altro genere. La musica è pur sempre la bellezza in suono ed ogni musica, quando ben suonata, è bella. Che incontri o meno il nostro gusto è discorso altro e di là da venire. La preferenza è lecita e legittima, ma chi ama davvero la musica non è capace di vedere inutili derby domestici tra un genere e l’altro, un interprete o l’altro. Non ci sono pregiudizi:chiunque sia il suo interprete, qualunque sia il suo strumento, la vera arte è espressa da chi sa comunicare la bellezza tramite le note.
La musica non esiste che nel momento dell’esecuzione. Spegni il disco e non esiste più. Posa l’archetto del violino;lascia cadere la bacchetta della batteria o delle percussioni; alza il dito dai tasti del pianoforte, dalle corde della chitarra, dell’arpa, del basso; fasi cessare la vibrazione delle corde vocali; non soffiare più dentro alla tromba, il saxofono, il bassotuba. Ogni suono, come per incanto, terminerà. La musica, memore dell’insegnamento della natura, altro non è che movimento d’aria messa meccanicamente in vibrazione. In questo senso, è forse proprio il vento il primo musicista, che, tuttavia, più che strumenti a fiato, si trova ad utilizzare strumenti a corde, dal momento che i suoi suoni sono prodotti dal fruscio delle foglie, dall’ondeggiare di un canneto, dall’incresparsi della superficie dell’acqua, dalle pietre del ghiaietto che, mosse, si scontrano tra di loro. E, senz’altro, è dall’osservazione di di questi fenomeni che l’uomo ha derivato i suoi primi strumenti, a partire da quelli a corda che sfruttavano la vibrazione di una corda tesa, fino a piccoli shaker dalle forme più o meno insolite che producevano i propri suoni grazie allo sfregamento ed allo scontro di sassolini dentro a contenitori dalle forme più o meno insolite, fino ad arrivare a strumenti più complessi, come il pianoforte, di difficile classificazione, dal momento che è strumento a corde percosse.
Niente è più intangibile della più impalpabile tra le arti: la musica. Eppure, niente riesce a toccarvi più nel profondo di essa, capace di far vibrare le corde più nascoste della nostra anima.
Sembra una cosa banale e scontata, ma forse la prima cosa da dire al riguardo è che, in modo universale (o quasi), potremmo dirla vera, per ciascuno di noi. Sin da quando siamo piccoli, siamo cullati dalla musica per dormire, spesso la musica riesce a farci mandare giù bocconi amari (in senso figurato, ma a volte anche concretissimo), durante l’adolescenza e la giovinezza alcune musiche diventano quasi delle colonne sonore, per molti diventa l’hobby preferito e per qualcuno addirittura un lavoro. Ma credo sia davvero difficile trovare qualcuno che possa trovarsi del tutto indifferente di fronte alla musica: più spesso, è in grado di aiutarci a capirci, di prendere contatto con il nostro lato più sensibile, sa farsi compagna comprensiva nei momenti tristi e talvolta sprone quando è venuto il momento di lottare per quello in cui credi.
E forse ciò che riesce ad insegnare in modo ad un tempo immediato e costellato di sacrifici è la bellezza dell’armonia. Perché, per quanto un solista possa essere bravo, difficile poterlo comparare alla bellezza di una musica d’insieme, dove suoni diversi emessi da strumenti differenti riescono a trovare ciascuno il proprio spazio nel panorama sonoro, così da formare uno stupendo “affresco” che colma le nostre sensazioni uditive e le appaga completamente.
Ieri sera, al festival di Sanremo, è salito sul palco un pianista e compositore di nome Ezio Bosso che, prima di mettersi al pianoforte e ricordarci che per ascoltare della bella musica, le parole non servono, si è permesso di dare a tutti una randellata in punta di forchetta, perché, con grande semplicità, ha reso ragione del senso di fare musica, in poche ma chiarissime ed evocative parole, che non mi resta che riportarvi per intero, tali e quali, perché cambiarle sarebbe un affronto:
«La musica siamo noi, la musica è una fortuna che condividiamo, che ci è arrivata. Noi mettiamo le mani, ma ci insegna la cosa più importante che esiste e cioè ascoltare. La musica è una vera magia, sapete che non a caso i direttori hanno la bacchetta come i maghi. La musica mi ha dato il dono dell’ubiquità perché quello che ho scritto è a Londra e la fa un bravo direttore con il balletto più importante del mondo. Io vado da un’altra parte. La musica è una fortuna, è soprattutto come diceva il grande maestro Claudio Abbado è la nostra vera terapia. Io porto sempre un po’ di acqua al mio mulino. Tendiamo a dare per scontato le cose belle.»
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Del resto, in un’intervista del 2013, su La Stampa, aveva avuto modo di dire, rispetto a ciò che aveva scoperto durante un periodo di assenza forzata dalla musica, dovuta ai postumi di un intervento al cervello che aveva subito, nel 2011:
«Che siamo belli. Noi esseri umani siamo bellissimi, ma spesso, chissà perché, tendiamo a dimenticarcene. Che non esistono storie brutte, ma solo tristi, o allegre. E che dobbiamo avere paura solo delle storie noiose. Ora parlo a fatica, non posso più correre, ma riesco ancora a suonare. E nel momento in cui metto le mani sulla tastiera volo lontano da ogni problema. Se prima provavo per dieci ore al giorno adesso dopo due mi devo fermare (saranno contenti i miei vicini di casa)».
Queste parole sono tremendamente simili ad un pensiero di Dostoevskij che ho sempre amato enormemente, apprezzando come, dopo più di un secolo, fossero ancora – dannatamente – attuali e necessarie da ricordare, ogni giorno, ogni ogni minuto, ma in particolare, quando, vinti dalla disperazione, navighiamo verso lo scoraggiamento e ci lasciamo convincere dal più pericoloso dei nostri nemici, cioè noi stessi. l’aforisma, per la cronaca, è questo e credo dovremmo appuntarcelo ogni giorno, oppure lasciarlo nel portafogli, così da strapparci un sorriso ogni giorno che nasce:
«Tutta la vostra infelicità consiste nel vostro ignorare quanto siete belli. Ognuno di voi potrebbe rendere felici tutti; e questo potere è concesso a tutti, soltanto è sepolto cosi profondamente dentro di voi che voi stessi non ci credete nemmeno più»
Ognuno di noi è una meraviglia, capace di generare stupore. Forse, davvero, l’unico vero problema è ricordarcene. Quotidianamente.
Perché la presenza di Bosso non sia soltanto una comparsata intrisa di buonismo e di ipocrisia, forse, dovremmo tenere a mente ogni giorno le preziose perle che ci ha regalato attraverso il suo coraggio di mostrarci quanta bellezza ogni essere umano, ciascuno a proprio modo, può contenere, esprimere e condividere ogni giorno, in ogni luogo, in ogni momento.
Perché il futuro migliore può nascere solo oggi!
FONTI
La Stampa – intervista del 2013
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