PescatoriTristi

L’aveva forse adocchiata quella barca mentre era ancora intenta alle manovre del rientro, nonostante la folla Gli facesse ressa tutt’intorno. Le parole che Gli uscivano di bocca erano le solite parole sentite di sinagoga, eppur con Lui sapevano di luce, tenevano sapore, scatenavano l’appetito: feritoie con vista sul Cielo. Muratori e ortolani, gabellieri e giostrai, funamboli e parassiti. Eppoi uomini di malaffare e femmine di strada, vecchi dai fianchi dolenti e madri dalle occhiaie smunte dall’attesa. Sfiancati dal lavoro, sfiniti dall’arsura, appesantiti dal tedio: nulla in loro poteva contro il sapore di quelle sillabe, rese possenti dalla presenza di una Voce.

[…]

Le barche ormeggiate, i pescatori ormeggiati: spenti, delusi, sconfortati, beffati, tristi. Prostrati, abbattuti, frastornati. Disoccupati. Sono barche e vite declinate al participio passato. Vite di padri desolati: «Ma quel ch’io cerco nella rete / forse voi non lo sapete: / cerco le scarpe del mio bambino / che va scalzo poverino» (G. Rodari, Il pescatore). Han cercato vita tutta la notte, il mare gliel’ha nascosta ancora una volta. Quel Viandante predicatore li ha messi nel mirino: non s’accorgono, troppa tristezza nell’anima. Li sta avvicinando: non odono i passi, il rimbombo della mestizia è invadente. Nei suoi passi ci sono pesci ovunque, nei loro ci sono reti sgonfie e tristi.
Non resta che scendere, lavare le reti, armeggiare con la tristezza. Fare i conti con quel Ramingo che, pressato dalla folla, chiede spazio a loro. Proprio a loro, nell’ora precisa del fallimento, nello spazio inospitale di una barca vuota. Nella barca di Simone: il pescatore schietto, l’uomo dai modi bruschi, il cuore grande dall’impeto generoso: “Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca” (Lc 5,3). Il pulpito è una cattedra senza gambe, gli assistenti sono uomini in-credibili, la compagnia è delle più imbarazzanti, forse anche delle più buffe.
Simone lo guarda: che farsene di quelle parole mentre le reti sono vuote e delle scarpe del bimbo scalzo non c’è speranza? Lui ammaestra e loro tacciono: per pudore, per rispetto, per troppi occhi. Per troppa amarezza, troppo ormeggio: è bello contemplare il mare dal porto. Non per loro, però.
Ai creduloni è facile imporsi. Agli ignoranti pure. Simone non è ne l’uno ne l’altro: è un pescatore che conosce a menadito il suo mestiere. Batte il remo come pochi, regge la muscolatura quand’è infiacchita ch’è un prodigio, con la sua barca s’inoltra dentro la furia più tempestosa dell’acqua. E’ uomo avvezzo alle logiche pescherecce: la notte e l’attesa, le reti e i lucci, l’amo e gli uncini. L’ora dei lavori. E’ uomo di faccende domestiche: senza lavoro manca il pane e scarseggia l’avvenire. E’ uomo anche nell’ora più triste del pescatore, quella della pesca mancata.
L’Altro si volta e lo punta. Due volti a confronto: la luce e l’oscurità, la consolazione e la desolazione, la Grazia e la disgrazia, il futuro e il participio passato. L’uomo e Dio. Nudi in fronte all’assurdo di Dio: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca” (Lc 5,4). Oltre il danno c’è solo la beffa: ci sono mattine in cui il Cielo è irriverente, quasi canzonatorio. Sfrontato, persino illogico.

[…]

Parla lui, capo ciurma di una cooperativa fallimentare: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla” (Lc 5,5). Gli altri fanno cenni, sono cenni di consenso. Non fanno finta che tutto vada bene: “Bene, bene! Ma bene non va” (Ger 6,14). Mentiranno su di Lui attorno ad un fuoco, ma l’afflizione non accetta bugie: i pesci non sono struzzi, le barche non sono giostre. Eppoi c’è quel mestiere di mezzo tra loro due, e chi se ne intende di pesca tra i due è Simone: “non si pesca forse di notte, Viandante?” L’Altro sembra tacere in fronte all’esperto conoscitore di pesca, come l’Arcangelo dirimpetto alla Vergine: in ascolto, a far di conti con la libertà dell’uomo, ad assaporare la tristezza dell’ormeggio. Dell’ormeggio non voluto, complicato, assordante. Tacciono: anche il mare sembra tacere. In acqua senza pesci non gettare la rete, Simone. Al porto tutti ti guardano: ancora poco e t’irrideranno, pescatore.
Invece l’inaudito, l’illogico, l’inaspettato. La quasi possibilità di una sorpresa: “Sulla tua parola getterò le reti” (Lc 5,5). Forse quel Viandante si sbaglia: non ci possono essere pesci a quest’ora. Stamattina, però, l’ultima possibilità potrebbe celare una sorpresa: non capita, spoglia di logica alcuna, a forte rischio di sbeffeggiamento. Gettano la rete nell’ora meno propizia: e il meno propizio diventa tempo propizio, vento a favore. Tempo di esagerazioni: “Maestro, è pesce!” Il participio passato è sostituito dal tempo presente, il tempo dell’oggi, della scarpa del bimbo scalzo dentro la rete. La barca è colma, quasi l’acqua non la regge: il fondo è tutto un agitarsi confuso di pesci impigliati nella rete. Accorrono i garzoni: l’imbarazzo è divenuto eccesso, la sorpresa altro non era che una promessa, la promessa è ora una Presenza. Ha un nome. Un tempo presente; per uomini di futuro. Per pescatori di altre pesche. Su altre rotte.

(da M. Pozza, L’imbarazzo di Dio, San Paolo 2014)

Sembra proprio che Dio avesse una certa propensione per le canaglie (liturgia della V^ domenica del tempo ordinario).

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