[ Intervista ad Alessandro Zanardi ]
Mattino del 13 aprile 1998, isole Hawaii. Patrick de Gayardon, discendente ed erede dell’Icaro mitologico, non intuiva di spiccare il volo per l’ultimo viaggio. A differenza di mille altri, quello fu senza ritorno. Il giorno successivo, La Gazzetta dello Sport dedicava la quarta di copertina salutandolo con una frase: "Ci sono uomini che con le loro invenzioni hanno cambiato il nostro modo di vivere. Altri, quello di sognare". Sul Nanga Parbat, ad oltre 7.000 metri di quota, un lastrone di ghiaccio ingoia l’erede di R. Messner, l’altoatesino Karl Unterkircher. Nell’ultimo comunicato stampa postato sul suo sito scrisse: "sono le scariche di ghiaccio che mi procurano paura". Ma a rinunciarci nemmeno l’idea perché "una sola cosa è certa, chi non vive la montagna, non lo saprà mai! La montagna chiama!" Qualche ora dopo lassù, dove l’aria rarefatta impedisce persino agli elicotteri d’alzarsi in volo, una scarica di ghiaccio l’ha annodato su se stessa.
Anche questo è sport. E’ l’altra faccia dello sport: il rovescio, il rischio, la follia, l’imprevedibile, l’angoscia, la testardaggine. Perché lo sport, prima di tutto, è sfida: con se stessi, con l’altro, con la Natura. E’ ricerca appassionata e ostinata di un limite da spostare, da correggere, da abbassare. Di una meta inedita da raggiungere, da tracciare, da segnare. Di una legge da sfidare, da correggere, da ri-scrivere. Ma l’estremo è anche ragionevolezza, studio, calcolo, programmazione. Silenziosa meditazione dell’immaginazione. Limite che, una volta braccato, diventa la partenza per un’altra sfida. Un altro viaggio. Un’altra competizione da cercare.
Morte e vita spesso s’incrociano laddove l’uomo si mette nudo di fronte allo spazio, al tempo, alla Vita. Storia di prodigiosi duelli, d’affascinanti battaglie, di portentose scintille divenute eroiche storie di avventurieri. O tristi epigrafi. Dalla polvere agli altari. O dagli altari alla polvere. Chi ha la fortuna di tornarci, decide di spendere il resto dei suoi giorni per cantare la bellezza del vivere.
Come Alessandro Zanardi, pilota bolognese e padovano d’adozione, classe 1966. Una vita corsa sempre sul filo del rasoio. Soprannominato "il Parigino" per la sua guida estremamente pulita e "pineapple" (ananas) per la sua testardaggine e pignoleria, è semplicemente un uomo a cui il Cielo ha regalato una seconda vita. La battaglia tra la vita e la morte ha un nome preciso: pista Eurospeedway del Lausitzring (Germania). Nome pesante e tristemente famoso per aver rubato all’Italia l’Alboreto pilota. La sua è la storia di un campione: le prime vittorie e la lunga scalata alla Formula Uno. Gli anni nei paddok, i rombi dei GP. Il salto in America (l’ennesima "fuga dei cervelli"), l’incontro con un uomo che ha creduto in lui. Il celebre sorpasso di Laguna Seca. L’amore: la moglie Daniela, il figlio Nicolò, gli amici. Un uomo che sognando ha grattato coi denti la vita. E se l’è gustata fino in fondo.
Il 15 settembre 2001, quattro giorni esatti dopo il crollo delle Twin Towers, a tredici giri dalla vittoria la macchina gli si gira, attraversa un pezzo di prato e, in testa coda, rientra in pista dove il gruppo sfreccia a 340 km/h. Un brandello di carne, un mucchio di lamiere accartocciate, il sangue sulla pista. Cala profondo il buio, anche per uno come lui al quale, dice nella sua autobiografia, "da piccolo il buio piaceva, mentre agli altri faceva paura".
"Fosse tutto bello, sai che noia?". Parole tue, raccolte all’ospedale di Berlino, appena qualche giorno dopo l’amputazione di entrambe le gambe. Confermi?
«Questa è parola attestata di Alessandro Zanardi. Davvero, sai: andasse tutto bene nella vita, sai che noia mortale! Credo appassionatamente che la vita perfetta non è quella nella quale va sempre e solo tutto bene. Per vivere l’uomo ha bisogno di obbiettivi, di sfide, di lotte. Vivere è impegnarsi a dribblare le avversità per sentirsi soddisfatti a serata conclusa. La vita è bellezza e bruttezza, armonia e disarmonia: ma il brutto ti accende la nostalgia del bello. Fosse tutto bello, come faresti a parlare del brutto?».
Il titolo della tua autobiografia recita: "…Però, Zanardi da Castelmaggiore" (Baldini Castoldi Dalai editore, 2003). Una frase che ti ripeti ancor oggi quando sul podio t’attende lo champagne del vincitore. Come dire: vedi che se ci credi arrivi? Immagino sia partito tutto da Castelmaggiore. Cioè da un paese sconosciuto, piccolo, estraneo alle luci della ribalta. Dove abitava un bambino sognatore.
«Come s’accendono i sogni di tutti i bambini. E’ bastato un go-kart e s’è accesa una luce. Da baco sono diventato bruco. E da bruco mi sono trasformato in farfalla. Strada facendo la passione è diventata lavoro, il lavoro impegno, l’impegno poesia. Sulla strada ho costruito la mia fortuna. La stessa strada che mi ha portato via Cristina, la mia sorella. Li ho capito che la disgrazia abita fuori dalla porta di casa, non occorre cercarla. Avverto tristezza quando m’accorgo che oggi ci siamo abituati ai "bollettini di guerra". Tanto – pensiamo tra di noi – non busseranno mai a casa nostra. Poi un giorno ti alzi…
Adesso a guardarmi non capisco se lo sport ha fatto di me una grande persona. Posso però dirti che lo sport mi ha reso la migliore persona che potessi diventare. Mi ha offerto grandi occasioni per accelerare la mia capacità di leggere lo strano percorso della vita di ognuno di noi».
Karl Unterkircher, lo scalatore altoatesino divorato dal ghiaccio del Nepal qualche settimana fa, scrisse alla partenza della sua missione: "Siamo nati e un giorno moriremo. In mezzo c’è la vita. Io la chiamo il mistero, del quale nessuno di noi ha la chiave. Siamo nelle mani di Dio e se ci chiama dobbiamo andare. Sono cosciente che l’opinione pubblica non è del mio parere, poiché se veramente non dovessimo più ritornare, sarebbero in tanti a dire: "Cosa sono andati a cercare là? Ma chi glielo ha fatto fare?". Nel preventivo di uno sportivo c’è la voce "non ritorno"?
«Prima che mi capitasse l’incidente dicevo guardando immagini simili: "Se mi capitasse io mi toglierei la vita". Ma credimi che ad incidente avvenuto mi si sono fatte avanti energie nascoste che nemmeno immaginavo. Vedi. Lo sport mi ha insegnato un metodo: concentrarmi sempre su un obbiettivo da inseguire fino a farlo diventare un sogno. Un sogno che guardi in continuazione, che accarezzi, che sfiori. Che ti aiuti a tenere alta l’attenzione. Poi si va: traguardo dopo traguardo».
A studiare le statistiche presenti nei canoni della Nasa, tu dovresti essere morto. Il tuo caso ha spostato il limite tanto da dover riscrivere le tabelle scientifiche e reintrodurre una nuova casistica. Sai che tanti vedono in te un eroe?
«I veri eroi sono i pendolari che ogni mattina alle quattro prendono il treno per andare a lavorare. Io ho semplicemente tracciato una strada, ho mostrato cosa combina la grinta quando s’allea con la volontà e chiama in aiuto la passione. Sono un uomo fortunato perché la malattia mi ha offerto un’opportunità nuova di ricominciare a vivere e di tornare alle cose di sempre. Ho sconfitto chi riesce solo a dire: "E’ inutile provarci". Ecco, credo che questa sia stata la vittoria più bella: sfatare tanti luoghi comuni sulla carta impossibili da abbracciare».
Lo sport e il limite: una battaglia continua. Davvero l’importante è partecipare?
«Sport è dare tutto, giocarsi tutti gli assi e accettare il risultato. Non significa che l’importante sia partecipare: sapessi come mi arrabbio quando perdo! Ma il campione sa anche congratularsi, magari digrignando i denti, con il vincitore. Convinto che un giorno s’invertiranno i ruoli. Sei vincente se hai dato tutto quello che potevi dare. E’ ovvio che ad alcuni la natura ha dato un punto di partenza privilegiato. Ma pensa che bello se tu, che magari sei partito più indietro, riesci a mettere la testa fianco a fianco con chi ti è partito davanti. Chi ti ferma? Nella vita i veri fuoriclasse sono quelli partiti da molto lontano, che hanno sposato un metodo semplicissimo e funzionale: se uno ce l’ha fatta, perché non dovresti farcela anche tu?»
Adesso non c’è nessuno. Dimmi: "Chi è Alessandro Zanardi?"
«Un uomo non-perfetto, innamorato della la vita e stimatore della salute. Tutto il resto viene dopo. Ed è divertente conquistarlo piano piano sapendo che la cosa più bella rimane il tentativo d’averci provato. Se conquisti la vetta sarà gioia piena: in caso contrario ti sarai divertito da morire nel provarci.
Non smetterò mai di sognare».
Il 15 agosto 2001 Zanardi entrò all’ospedale di Berlino senza sangue, esausto, vinto. Quando lo vide steso sul lettino, il dottor Costa (lo storico medico del Motomondiale) disse: "Questo uomo tornerà a fare tutto quella che faceva prima, camminare, guidare, sciare e soprattutto portare in spalla suo figlio". Lo presero per pazzo.
Solo un uomo, a operazione avvenuta, gli diede ragione: Alessandro Zanardi da Castelmaggiore. L’uomo che fa venir voglia di alzarsi e camminare.
O, addirittura, correre. Per abbracciare la vita, questa volta!
Alessandro Zanardi nasce a Castelmaggiore (Bologna) il 23 ottobre 1966. A 13 anni inizia a sfrecciare con i kart e a 23 anni esordisce nel Campionato di Formula 3. Ottimo pilota, nel 1991 passa in Formula 3000 dove vince 2 gare e arriva secondo nel campionato. Il 1991 è anche l’anno dell’esordio in Formula 1 chiamato da Eddi Jordan a sostituire per 2 gare Michael Schumacher. Rimane nel mondo della Formula 1 dal 1991 al 1994 e ci ritorna per un anno nel 1999. In tutto colleziona 41 Gran Premi a bordo della Jordan, della Minardi, della Lotus e della Williams. Nel 1996 trova la sua fortuna in America esordendo nel campionato statunitense Cart. Celebre rimase il sorpasso a Laguna Seca ai danni di Bryan Herta all’ultimo giro.
Il 15 settembre 2001 fu vittima di un tremendo incidente. Il cappellano gli amministrò l’estrema unzione, lo caricarono sull’elicottero e lo condussero all’ospedale di Berlino. Amputate entrambe le gambe e dato ormai per spacciato, incredibilmente si riprese. Nel 2003 torna sulla pista del Lausitzring e termina gli ultimi tredici giri che gli mancavano il giorno dell’incidente. Il tutto sotto l’urlo da stadio di un ovale vestito a festa per lui. La BMW gli affida un contratto per gareggiare. Nel 2005 diventa Campione italiano di Superturismo ed è tuttora pilota BMW. Stimato e temuto come prima. Più di prima.