Cavate la sequela, rimasta ancor oggi l’inspiegabile miracolo – che uomini di braccia robuste e d’intelletto fascinoso mollino tutto per seguire il Cristo –, e il primo suo gesto che vi si ficcherà dinnanzi è una strana storia di acqua mutata in vino. Era giorno di sposalizio e di piacere a Cana di Galilea: «Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli» (Gv 2,2). Anche lui a far festa: la festa dell’uomo di campagna. Per un giorno non più pane d’orzo, fichi secchi e uova sode ma porzioni di carne, otri di vino e vasi d’unguenti. Musica, balli e danze: lo straccione dirimpetto al suo datore. Per una sera si può (liturgia della II^ domenica del tempo ordinario).
Tra gli invitati c’è lui con i suoi. Quella sparutezza festaiola al Rabbì non dispiace: sarà la medesima che spartirà con megere e cortigiani, uomini di feccia e bellimbusti disgraziati. Con gli amici e gli avversi. C’è anche lei con loro, silente ma presente. La donna che «molte fiate liberamente il dimandar precorre» (D. Alighieri). La precorritrice della gioia, puntuale a Cana, scenario di festa e d’auspici: «Non hanno più vino» (2,3). S’accorge la madre che urta il figlio a darsi da fare: «Che ho a che fare con te, o donna. Non è ancora giunta la mia ora» (2,4). Non è ancora tempo per Cristo: manca una stagione, un giro di cottura, forse due ancora, o forse ancora solo il turno di una pietanza. Quell’accelerata di femmina sembra infastidirlo. Lo mette al muro, gli ricorda chi sarà: il signore della festa. Lui tace, ma lei in quel suo muto parlare scorge un cenno, forse solo un batter di ciglia. Quanto basta: «Fate quello che vi dirà» (2,5).
Il carpentiere apprendista poggia gli attrezzi.
Da domani s’inventerà Consolatore di cuori, patrono delle feste.
Fu lei a prenderselo in grembo ai tempi in cui tutti lo volevano ma nessuno gli aprì la porta. Lo coccolò e l’educò, temette per lui e ne vinse le paure rimbalzandosele nel segreto. Lo vide scappare e tornare, crescere e maturare, farsi uomo mantenendo i tratti di Dio. Come tutte le madri ne temette anzitempo il giorno della partenza. Eppur sempre lei a mettergli in moto la macchina dei miracoli. D’ora innanzi il tormento di Cristo altro non sarà che il sentirsi rigettare addosso quella voce: «Non hanno più vino». A destra e a manca: “Sono tristi, Rabbì. E’ malata quella donna, guarda come cammina il paralitico, odi come parla il muto: intervieni, tu che tutto puoi ciò che vuoi”.
Al lavoro, in giorno di festa. Senza il suo lavoro non sarà più festa.
Del miracolo gli inservienti s’accorgono quando la macchina ha già fatto strada: «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono; tu, invece, hai conservato fin d’ora il vino buono» (2,10). Saranno botti di sorpresa e calici di vino eccellente d’ora innanzi. Ne vedranno delle belle, lui e gli altri: più nessuna pigiatura sorpasserà quelle sei anfore rimaste colme. perché truffarli con vino andato in aceto solo perché sono brilli? Anche da brilli rimangono figli. Mica fu un trucco da illusionista quell’acqua tramutata in vino. Fu un cambio di ritmo, segnò un passaggio di testimone: un’epoca si chiudeva, un’altra si apriva. Gente che andava e gente che veniva: «Nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi» (Mc 2,22).
Una conoscenza in materia che convinse ortolani e vignaioli.
Iniziò a Cana di Galilea la conquista dei cuori da parte del nazareno. Fu poeta: nel vino scorgeva il regno di lassù, nell’angustia intravedeva una fessura, in un’anca fiacca incastrò uno sperone d’eternità. Per taluni miracoli, rimasti nei secoli dissacranti, gli procurarono del legno e un ciuffo di chiodi: l’ubriacatura della croce fu la netta conseguenza d’un vino per veri intenditori della gioia.
Quando decise di fare testamento, indisse un banchetto e lo scrisse attorno ad una tavola: davanti a lui piccole ciotole di terracotta e del vino. Accanto a loro del pane azzimo a disposizione. Tutto come agli inizi: «Prese il calice». Ancora un mutamento di vino: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sange dell’alleanza» (Mt 26,27-28). Esordì a Cana e salutò a Gerusalemme: nel nome del vino. I dodici quasi gli dettero credito: «I veri intenditori non bevono vino. Degustano segreti» (S. Dalì). Quel vino era già un segreto.
Sarà festa in memoria di lui. Di sua madre, quella che gli disse: “Muoviti!”
(M. Pozza, L’agguato di Dio, San Paolo 2015)
Segnalo, per chi fosse interessato, il link della trasmissione Al di là della notizia di Radio Vaticana, condotta da Antonella Palermo, e andata in onda venerdì 15 gennaio 2016 con un’intervista a don Marco Pozza.