Tutto goffo, pure un attimo strabico. Uno di quelli che, ammaccati dalla miseria marcia, soccombono quasi sotto terra, incuranti di tutto, non curati da tanti, forse sbadati addirittura a se stessi. Uomini-ombra. È la notte di Natale, siamo dietro le sbarre di una patria galera del Nord-Est, quello contorto e gentile. Un pugno di gente: un prete che annuncia la nascita, tredici uomini – più avanzi d’umano che uomini tutt’interi, “gente avariata” direbbe qualcuno – mezzi assaliti dal sonno; qualche uomo generoso come lampione che illumina la notte. Notte santa, notte generosa, notte d’intrepida attesa. Notte-con-Dio.
All’oscuro dell’italiano, com’è di tanti che hanno fatto della scarpata-della-strada la loro scuola, si prenota col dito una delle preghiere dei fedeli stampate sul foglietto. Sempre le solite, quasi sempre senza vita, sovente insipide e amorfe. Che importa? Da quand’è nato il mondo, sono sempre gli uomini a fare la differenza: al tempo dei faraoni, al tempo del bullo Erode. Salvatore (chissà se si chiama proprio così o se ha imparato a chiamarsi così) legge la seconda delle cinque preghiere. Quella dove sta scritto: «Nel mistero del Dio incarnato (…) preghiamo Dio salvatore (Ascoltaci, o Signore)» Non sempre ciò che si legge corrisponde a ciò che sta scritto: tra lo scritto e il letto di mezzo ci passa la vita, quella che sorprende e acciuffa, che stupisce e smarrisce, vita-sempre-vita. Salvatore non legge ciò che c’è scritto, legge ciò che capisce. Di più: legge ciò che gli risuona nel cuore più che quello che altri hanno scritto. Legge tutto d’un fiato, come chi prende la rincorsa per fare il salto migliore: «Nel mistero del Dio incalmato (…) preghiamo Dio saldatore (Ascoltaci, o Signore)». Alzo gli occhi, anche solo per strappare un sorriso: la loro compostezza scoraggia la mia ilarità. Nessuno sorride, forse manco si sono accorti: tutti ignoranti? Oppure Salvatore ha detto ciò che anche loro pensavano per davvero nel cuore.
Il Dio incalmato, non il Dio incarnato. Eggià: l’incarnazione è roba troppo astratta, odora di teologia e di frasi spurie, non trattiene l’odore consunto della terra, la voracità inimmaginabile del «Dio si è fatto carne» (liturgia della II^ domenica del tempo di Natale). L’incarnazione è dogmatica, troppa lontananza per i poveracci, ancora lungi dal loro essere terra-terra. Per loro dire che Dio si è incarnato non dice nulla: che Dio si sia incalmato, invece, è tutto un programma, il più ardito dei tentativi mai accaduti. Incalmare è verbo di botanica, sudicio di letame, gergo contadino: è inserire il ramo di una pianta su un’altra pianta di diversa varietà, per ottenere un individuo nuovo. È un tentativo di miglioria, un trucco da esperti, un tocco di finezza botanica. Il Natale? La divinità s’incalma con l’umanità, Dio s’innesta nell’uomo, l’Onnipotente s’incastra nell’impotenza. Mai trovata una traduzione più fedele di questa. Senti che tocco: «Dio si è incalmato e venne ad abitare in mezzo a noi» Mica finito, però. Era forse preoccupato, Salvatore, che qualcuno non s’intendesse di botanica e, perciò, rischiasse di non capire cos’è il Natale. Così, sfacciatamente geniale, ha firmato la seconda manovra da fuoriclasse: «Preghiamo Dio saldatore». Saldatore! La salvezza è una saldatura, congiungere due o più cose insieme in modo da formarne una sola. Il Natale è la saldatura di Dio: il Cielo si stringe alla terra, Dio s’aggroviglia in un abbraccio con l’uomo, il suo sogno diventa segno per tutti: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Lc 2,12). Dio è il saldatore, il Bambino è la saldatura: la terra è saldata, anche salvata. L’aggancio è riuscito: Dio, incalmandosi, ha saldato la terra col Cielo.
Due giorni dopo Natale, Salvatore Tremiterra, poco oltre i quarant’anni, è morto: un infarto l’ha colto improvviso dentro la sua cella di galera. Un pover’uomo in mezzo ad una ciurma di poveri-cristi. Stamattina ho celebrato il suo funerale: il funerale di Salvatore, il mio-piccolo-salvatore. L’uomo sbagliato che ha salvato il mio Natale giusto dal rischio dell’astrazione: il Dio-saldatore si è incalmato.
Solo ai poveri Dio concede il lusso di dargli così sfacciatamente del tu senza renderlo banale.