testardaggineChe non passi alla storia come una delle tante leggende d’uomini orchestrate per imbonire le menti, per trarre in inganno quelle fragili del popolo ch’era in spasmodica attesa di un Dio che sembrava tardare a venire. No, fu un fatto seriamente storico, uno di quelli che, cronistoria alla mano, è ancora possibile andare a rintracciare. Persone ancor oggi identificabili: i nomi e i cognomi esistono perchè ciascuno rimanga responsabile della propria storia, anche dopo morto. Eccoli qui, rigorosamente accanto alle terre e ai tempi che li videro governare le sorti di un popolo burrascoso, geniale: «Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea. Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa» (liturgia della II^ domenica di Avvento). Una faccenda strana quest’iniziale del vangelo di Luca. I Vangeli sono libri sempre così parchi di indicazioni storiche: questa domenica, invece, sembrano fare un’eccezione colossale, quasi rocambolesca. Esagerano con una cascata di nomi e cognomi, di facce e volti, di pensieri e governatori. Per poi, fatta l’introduzione generale, dire che cosa? Tentare di dire l’impossibile: dentro tutto quel bailamme di genti e di potestà, «la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto». Anche qui nomi e cognomi, con addosso tutta la storia di un casato e pure l’indirizzo civico di dove questo è capitato: nel deserto della geografia, nel deserto di una storia – quella di Zaccaria e di Elisabetta – le cui strade erano ostruite da un problema tecnico di ormoni e di vesciche che non funzionavano. Quasi a dire: “C’era assolutamente d meglio in circolazione, eppure Dio è partito dal basso, dai bordi, dalle slabbrature di storie nate proprio storte. Di quelle da capottarsi dalle risate.
Anche qua, con Giovanni, più di qualcosa sembra non tornare. Pare uno di quei personaggi-di-paese arrivati giusto in tempo per farsi ridere dietro da tanti nella piazza: uno di quelli venuti-fuori senza un perché. Anche proprio per ragioni tecniche di madre: al crepuscolo della vita regala luce, respiro e passi ad un figlio ossuto che veste pelle di capra, nutre il corpo di insetti e si asterrà da bevande inebrianti. I profeti son già tutti morti: è tardi per fare carriera in quel campo. Gli apostoli sono ancora bambini-giocosi a Cafarnao: è troppo presto per fare carriera dentro quel mondo. Troppo presto, troppo tardi: nato per sbaglio? Si, lo sbaglio di Dio: la variabile che manda gambe all’aria l’intero meccanismo della storia. L’uomo sbagliato che diventa l’uomo giusto, quello esatto, il quasi-atteso: «Voce di uno che grida nel deserto». Non è l’Atteso, sia ben chiaro che lui lo metterà sempre bene in chiaro. Però non è neanche uno di quelli che venderà la propria personalità per un piatto di lenticchie: non è Lui, ma è la Voce di Lui. Quando senti una voce di lontano, dici subito: “E’ Marco, è Giulia, è lui, è lei”. Dalla voce ricostruisci la fisionomia, riprendi una storia, riapri un’attesa. Mica è niente la voce: dopo di lei rimane solo il volto. Eccolo Giovanni, lo sbagliato che diventa la cerniera: «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! (…) Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!». Preparare e raddrizzare sono verbi di madre e di manovre, di smottamenti e di amori, di manovalanza. Si prepara ciò che preparato-non-è, si raddrizza ciò dritto-non-è: la storia rotta non si getta, si rattoppa e si rammenda, si sistema anche, se necessario. Eccola la storia sulla quale puntare: Tiberio Cesare, Ponzio Pilato, Erode, Filippo e Lisania. Sempre così: la parola di Dio scende su un uomo che abita la storia, non su chi la scansa. Sempre così: dentro la miseria va cercata la bellezza, non fuori di essa. Dentro l’inferno va raccolto ciò che non-è-inferno, non fuori di esso. Nella storia Dio riattacca spina, non fuori dalla storia. Da dentro, in mezzo, nel fango: c’è sempre qualcuno sul quale Dio decide di poggiarsi per fare un salto, per far fare un salto. Mica gente-da-lenticchie: roba piccola, ma decisa. Gente sbagliata, oppure proprio la gente giusta. Gente azzardata: quella che piace assai ad un Cielo mai domo a divertirsi.
Sempre testardo. Volevo dire al treno che passa una sola volta: “se ci tengo per davvero, me la faccio anche a piedi”. Capito, Erode?

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