Si va sempre di inizio in inizio, forti di una fragilità che il Vangelo colora di speranza, quella «che viene a noi vestita di stracci perché le confezioniamo un abito da festa» come scriveva con tocco d’artista il filosofo francese Paul Ricoeur. Ci sono frammenti di stelle che cadono, c’è una luna che s’offuscherà, appariranno potenze non più forti della loro potenza, maestà passeggere: c’è tutto un mondo che si mostrerà imperfetto, per far apparire la segnaletica della storia. Una questione di generi: al femminile si mostra come la fine, al maschile val meglio come il fine. La fine di tutto: il trionfo dell’inutilità e dell’insensatezza, del tempo andato gettato al vento e del Dio imbroglione e camuffatore di popoli. Del Dio inaffidabile di Lucifero e compagnia bella. Il fine della storia: l’approdo dell’intera carovana di popoli, l’ingresso nelle logiche finali di Dio, il compimento di un sogno iniziato nei primi righi della Genesi. Perchè, come scriveva Cesare Pavese, vivere è bello perché vivere è ricominciare: sempre, ad ogni istante.
Piccoli segni come traccia sul cammino dell’umano, come mappa per non perdersi nella traiettoria della salvezza: «Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina» (liturgia della XXXIII^ domenica del tempo ordinario). In Palestina tutte le piante sono sempre verdi. D’inverno, solo la pianta di fico perde le foglie e, giunta la primavera, lancia l’avvisaglia del cambio-stagione sulle foglie dei suoi rami. Quei rami, che all’approssimarsi dell’estate sembrano delle ossa secche, d’improvviso germogliano e offrono i frutti più dolci al palato. Cristo affida agli occhi di poeta il segreto dei tempi del Cielo: quegli occhi che sanno come il tempo per osservare la primavera sia brevissimo, i segni e i segnali minimi, che tutto è sospeso alla tenerezza dei germogli. C’è un Dio in arrivo, insomma. Con due inganni a fargli da apripista, quei tranelli che tanto piacciono e sono il tranello dello smargiasso di Lucifero. Il grandissimo ritardo con il quale sembra viaggiare il ritorno di Dio e la spavalda confusione dei segni: nell’attesa, c’è anche chi si divertirà a dire “eccolo qui”, oppure “eccolo là”. Addirittura a dire: “Eccomi qui, mi trovate proprio là”. In questo tempo coloro che non sono Dio cresceranno come funghi dopo un’abbondante pioggia per dire “sono io Dio, attaccatevi a me”: non ascoltateli, sono profeti di sventura, imbonitori a-libro-paga dello Sbruffone, poveri diavoli alla disperata ricerca di un momento di gloria. Principi di un cielo di cartapesta.
Salvezza e dannazione, dunque, saranno una questione di occhi: «Guarda (ecco), io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Il Cielo raccomanda il guardare, fermarsi al vedere può essere il tranello del principe tempestoso: guardare la realtà e prestare gli occhi alla realtà, scoprire che il vero non è tanto quello che si vede in apparenza, quanto quello che ci è concesso di guardare. Quello che sta sotto la scorza, la nascita dietro la sofferenza del parto, il bocciolo della rosa dietro la logica delle spine: si vede lo scorrere e il trascorrere delle cose umane, si guarda il legame che e tiene tutte in unità, che fa di tantissime colonne una cattedrale. L’uomo che s’accontenta di vedere, perderà il gusto della meraviglia: la storia potrebbe somigliarli ad una stramaledetta cosa dopo l’altra. L’uomo che, nell’inferno, s’inabisserà alla ricerca di «ciò che non è inferno» (I. Calvino) non finirà mai di divertirsi. Di stupirsi della puntualità di un Dio che, occhi-di-poeta, affida alla fragilità di un fico l’appuntamento ultimo della salvezza.
Salvezza non è stare sull’offensiva, figurarsi se salvezza sarà agire come di chi sta sulla difensiva. La salvezza è solo una manovra: quella di prendere l’iniziativa. Tra offensiva e difensiva, Dio consiglia sempre l’iniziativa: tutto dipende da cosa appare quando il nostro occhio lambisce la crosta della realtà: per coloro ai quali basta vedere, è il Vangelo della fine. Per chi accetta la sfida di guardare, è il Vangelo del fine. Del compimento più splendido e atteso, del sogno più ricercato: quello di Dio, che in ogni casa ci sia la festa del cuore.
Maschile o femminile: anche qui è questione di genere.