fessureE’ un Dio che irrompe negli interstizi della storia, un Uomo imbarazzante che s’incunea nelle fenditure delle rocce più nervose da scalare, un Creatore d’agguati che per braccare la creatura ha deciso d’imboscarsi nei luoghi meno simpatici della storia: nella chiesetta di una patria galera del Nord-Est d’Italia. Ciò che non era mai capitato prima d’ora e, dunque, non poteva affatto essere messo in conto, è accaduto a Padova dove il vescovo don Claudio Cipolla ha scelto di rendere pubbliche le quattro chiese-giubilari per il prossimo Anno Santo ormai alle porte, oltre alla Cattedrale: la Basilica di Sant’Antonio, la chiesa di San Leopoldo, il Santuario della Vergine della Misericordia di Terrassa Padovana e, luogo d’imbarazzanti imbarazzi, la chiesetta del Carcere “Due Palazzi” di Padova. «La chiesa dei briganti è diventata un santuario. Qua dentro ne vedremo delle belle» è stata la spiegazione teologica che ha fornito ai suoi compagni di galera Alfredo, il sacrestano-gentiluomo del carcere.
I detenuti sono esploratori di parole, sanno darci odori e colori, le pesano col bilancino per paura d’esporsi troppo e passare dall’altra parte. Sanno di cosa parlano quando dicono di brigantaggi e di latitanza, ma sanno anche che cos’è la Grazia che strapazza e scompiglia, che mette a nudo e soverchia i calcoli. «L’aveva già detto papa Francesco: ogni volta che passiamo per la porta della cella è come se attraversassimo la Porta Santa. Don Claudio è dei nostri». In loro il senso d’appartenenza è fortissimo, è l’anticamera delle affiliazioni più nefaste, delle associazioni più amicali: da queste parti il Santo Padre è semplicemente “Francesco” e l’Arcivescovo di Padova è “don Claudio”: mica mancanza di rispetto, tutt’altro. E’ che l’odore delle pecore non ammette formalità di circostanza: qui si combatte tutti la stessa battaglia, quella tra la Menzogna e la Bellezza, tra Dio e Lucifero. Sotto gli occhi di tantissimi che, negli anni, hanno imparato a varcare le porte di questo Inferno ch’è possibilità di Paradiso: «La prima cosa che ho pensato quando ho sentito la notizia alla televisione è stata: chissà che cosa dirà la gente – racconta Davide -. Poi mi è subito venuto in mente la responsabilità che avremo in quest’anno: attraverso il racconto delle nostre storie, mostrare la fantasia di Dio». Attraverso l’errore, non evitando l’errore: eccola l’imboscata della Misericordia che qui dentro amano nascondere in un suo sinonimo colorato, la fantasia di Dio. Perchè questo è il senso che don Claudio, con un gesto senza precedenti nella Chiesa, ha voluto dare a questa sua scelta. Non tanto una preferenza per il popolo dei carcerati, bensì un’occasione per chi, nel mondo, è libero. Quasi un invito rivolto loro: andate a vedere le manovre della Grazia, entrate là dentro e guardate che cos’è la Misericordia di Dio. Non l’elogio del peccatore, dunque, ma dell’esatto opposto: dell’Amore che disarma, della vendetta annientata dalla tenerezza, dell’esilio forzato come anticamera della libertà. Come nell’antico Egitto.
Chi scrive queste righe, là dentro è il parroco di quella tribù: più simile alla pecora che fugge che alle novantanove che rimangono. Eppure, a starci con loro addosso, ha scoperto la bellezza di quella parabola: non è la pecora che chiede d’essere salvata, è Dio che si mette a cercarla. Quasi che, senza di lei, Lui per primo avvertisse una mancanza: la pecora manca a Lui più di quello che alla pecora manchi Lui. A pensarci per più di un istante, sembra d’abitare nella terra dell’assurdo. Invece è il Vangelo, nella sua rude bellezza: nelle carni di chi si pensava perduto, per tutto un anno andrà ad imboscarsi la Grazia. Chi vorrà vedere che faccia abbia il Cielo, a Padova gli toccherà d’andare dentro il fango della galera. Qui il Giubileo più che una parola sarà un accadimento.

(da www.tracce.it)

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