[Intervista a Elena Donazzan, Assessore del Veneto]

Elena Donazzan Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano, il 20 gennaio 1944 scrisse nel campo di concentramento nazista: “Dio e la sua eternità devono essere amati da noi pienamente. Ma questo amore non deve nuocere ad un amore terrestre, né affievolirlo”. Un anno dopo, all’alba del 9 febbraio 1945, Bonhoeffer venne impiccato a Flossemburg. Nella sua cella trovarono la Bibbia e Goethe: il massimo dei libri sacri e il massimo dei libri profani. Due simboli. L’uno, della passione per il cielo. L’altro, della passione per la terra. Fedeltà a Dio e fedeltà all’uomo. Ma un fastidioso problema di interferenze – oltreché di intercettazioni – sembra oggi deturpare il viso di quell’arte così nobile e bistrattata che un tempo andava sotto il nome di politica. Dove raccomandazioni e DDL, task force dell’esercito e insulti di piazza, richiami a Robin Hood e spostamenti di processi, politica e antipolitica, Verità e Menzogna, insulto e rabbia convivono dentro i confini del medesimo Belpaese. Qualcuno, forse, inizia a ritrovarsi nella frase secca di Boris Pasternak: “La politica non mi dice niente. Non amo le persone che sono insensibili alla verità”.
E se all’origine stesse un problema d’educazione? Del cuore, prima di tutto. Ma anche del pensiero, dell’immaginazione, dell’anima. Parole che sembrano straniere, fuori moda, figlie di tempi antichi nelle “sale dei bottoni”. C’è una donna, però, che parla spesso di emergenza educativa. Lei è Elena Donazzan, Assessore della Regione Veneto all’Istruzione, alla Formazione e al Lavoro. Una donna giovane, appassionata, intraprendente che di fronte alla complessa difficoltà delle sfide odierne replica con l’ascolto, l’interpretazione attenta e il servizio alla comunità. Apprezzata e sfidata per quell’intransigenza morale che l’accompagna sin dalla sua nascita politica, è il volto di una destra giovane e ambiziosa nell’affermare la propria visione del mondo. Rimasta innamorata del profumo e della trasparenza delle proprie radici. Donna che parla di identità: quella che respiri negli odori della terra, nell’atmosfera paesana, nella musicalità della lingua e dei dialetti, nella storia dei musei, nel silenzio delle chiese, nella letteratura dei nostri classici. Nell’unicità che ogni lembo di terra partorisce e nasconde gelosa.
Ma davvero – come canta Francesco Guccini – la “politica è solo far carriera”? O c’è ancora chi la sera tiene sulla scrivania da una parte la Bibbia e dall’altra il giornale, come raccomandava il teologo protestante K. Barth?

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La politica custodisce storie di donne coraggiose, infaticabili, appassionate. Accanto a storie frivole, raccomandate, scoraggianti. Perché una donna sceglie di fare politica “con la schiena diritta”?
«S’inizia perché – e riprendo Guccini – “c’è anche una generazione che è preparata ad un mondo nuovo e ad una speranza appena nata”. Scelsi la politica a 17 anni: una scelta  firmata con quell’idealità e sana generosità di chi non s’aspetta nulla in cambio. Quel giorno piovvero uova e sassi e vidi per la prima volta l’odio e la cattiveria. Senza capirne la ragione. Lo stile che indossai in quei primi giorni è lo stile che voglio far abitare adesso che rivesto una carica importante. Un onere e un onore!»

La tua è la storia semplice di una ragazza cresciuta alla scuola di valori sani, genuini, nostrani. E il tuo outback tenti di farlo vivere nell’arte politica. Ma perché se un politico parla di Dio viene messo a tacere, se viene indagato fa carriera, se esibisce tendenze sessuali alternative crea tendenza?
«A volte l’uomo è l’espressione matematica più ostica da risolvere. Sembra quasi che si sia scelto di vivere in una “società rovesciata” dove ti combattono se scegli di sposare principi, aneliti e aspirazioni che sono congeniti alla natura umana. Il rispetto per la famiglia, l’onore e la passione per l’identità, la cura dell’ambiente sono comandamenti eterni. Oggi tutto ciò sembra essersi rovesciato. Basterebbe tornare ad educarci alla semplicità: pubblico e privato diverrebbero provvidenziali incroci in cui raccogliere e appassionarsi alla vita della gente».

Il filosofo Gadamer ebbe a dire: “Il futuro è l’origine. Se non ci ricordiamo più della nostra origine, non avremo alcun futuro”. Presente, passato e futuro s’incrociano a scuola. Come sta la scuola, a proposito?
«La diagnosi è riservata. Come anche la prognosi. Anche se terapie quali il rispetto, l’autorevolezza (non dice autorità, ndr) e la dignità dovrebbero avere più diritto di cittadinanza tra le aule in cui s’addestra al sapere. Quando la scuola diventa la baby-sitter dei nostri figli fallisce nel suo vero obiettivo, cioè l’integrazione tra sapere e vita attraverso la collaborazione di famiglie e insegnanti. Solo così, tra i banchi, s’apprende il fascino dei diritti ma anche la serie responsabilità dei doveri».

In questi mesi la politica sembra affetta da un “clima da osteria” (parole di Bonaiuti, portavoce del premier). Perché innamorarci di quella che per i greci era un’arte nobile e oggi è diventata un “gioco tra amici di amici”?
«La ragione è presto detta: la vera politica è tutt’altro da questo clima da Grande Fratello! A gente incapace, esibizionista e disposta a tutto si deve rispondere con il senso del dovere, il rispetto della res publica, la responsabilità verso i cittadini. Se è vero che la politica è una cosa seria, lo dev’essere altrettanto l’atteggiamento di chi la sposa come scelta di vita. Elena Donazzan in primis».

Alexander Solzenicyn, dissidente e Premio Nobel, un giorno lanciò un invito: “Riportate Dio nella politica!” Ezra Pound scrisse: “se un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla o non vale niente lui”.
C’è gente che oggi merita veramente d’essere ascoltata?
«Tu ne hai citati due d’immensa grandezza. Ognuno ha bisogno di qualcuno davanti che gli indichi la traccia da seguire. Come ognuno è guida – responsabile o meno – per chi nel cammino viene subito dietro. Marzio Tremaglia – un grande politico morto nel 2000 a 33 anni – invitava a credere in una dimensione etica della vita che si potrebbe riassumere in tre nodi: rispetto e onore verso sé stessi, rifiuto del compromesso sistematico, convinzione che oltre la vita e la libertà c’è qualcos’altro per il quale sacrificare pure vita e libertà.
Penso non siano semplici parole inanellate su sé stesse!»

A “microfoni spenti” e dietro le quinte: chi è Elena Donazzan?
«Un’idealista».

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Ce lo insegnano sin da bambini: non basta una rondine a fare primavera. Come non basta lo stile di una donna a rovesciare l’abitudine. Ma consola che qualcuna dia ragione a E. Mounier quando scrisse: “la più grande virtù politica è non perdere il senso dell’insieme”.
Accanto, magari, ad un cuore educato.


Elena Donazzan nasce a Pove del Grappa (Vicenza) il 22 giugno 1972. Sin dai tempi del liceo scientifico, a 17 anni, s’innamora con passione ed entusiasmo della vita politica attivamente. Il suo primo incarico fu come segretaria provinciale del Fronte della Gioventù. In seguito per cinque anni riveste il ruolo di consigliere di opposizione nel consiglio provinciale di Vicenza e per cinque anni in Consiglio Regionale Veneto in forza alla maggioranza. Attualmente è Assessore alla Formazione, all’Istruzione e al Lavoro della Regione Veneto. A lei competono numerose altre deleghe tra cui quella della caccia e degli alpini. Ha partecipato in prima persona all’organizzazione della Giornata degli Alpini di Asiago e di Bassano del Grappa. Ogni 25 aprile, in località Monte Corno, organizza una messa commemorativa in onore di tutti i caduti delle foibe. Nel curriculum campeggia una frase: “Vivi come se dovessi morire subito, pensa come se non dovessi morire mai” (G. Almirante)
Nel sito internet www.donazzan.it il suo percorso umano e professionale.


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