La voce ferrosa delle sbarre si scioglie all’allegrezza musicale della marcia nuziale di Mendelssohn. Quasi un ossimoro: la musica e il ferro, lo spartito e i cancelli, la galera e l’amore. Il carcere di Padova come scenario per la celebrazione del matrimonio di un uomo che porta all’altare la sua donna, la mamma dei suoi due figli. Da oggi sua moglie: «Io accolgo te come mia sposa».
Una storia d’amore e d’affetti che poggia le fondamenta in una terra di gesta delittuose e di rammendo dell’umano, di crimini, lutti e rimaneggiamenti. L’amore che subisce i tempi dell’arresto, quel fulmine che sovente fa scivolare un’intera famiglia nella follia. Dopo, tutto ciò che verrà altro non sarà che «la lunga coda di una vita sconvolta e svuotata», come scrisse Solzenicy in Arcipelago Gulag. Come narra la storia dello sposo: «Solo oggi mi rendo conto che gli episodi vissuti sono stati una fortuna per me, senza non sarei mai riuscito a rendermi conto di tutto quello che, toccandomi, diventa speciale». Il cuore della propria donna, il volto dei figli, un sogno condiviso. Il tutto collaudato da quasi tre lustri di notti trascorse nell’angustia di una cella: notti insonni, notti nelle quali non si chiude occhio, notti infami perchè popolate di stelle e di saette. Di ricordi e di malcelate nostalgie. Di un passato che non sarà mai così tragico da potersi illudere di reggere i contraccolpi dell’amore: «Fino a qualche anno fa mi sentivo l’ultimo. Mai avrei pensato che un Uomo, vissuto anni fa, potesse cambiare la mia vita. La nostra storia». Eppur il bandito cederà.
Quell’Uomo ha un nome, è una presenza in perpetuo agguato, che s’imbosca per conquistare: «Quest’Uomo mi porta a credere che sono davvero l’ultimo, ma uno di quegli ultimi che Lui non ha mai abbandonato». Il passato di una storia, in Sua compagnia, non va cestinato: con le pietre di un tempo s’innalzeranno nuove dimore. Il futuro va organizzato, ad oltranza. Il passato e il futuro, nel tempo presente: quello meno adatto per gli uomini, quello preferito dal Cielo. Nonostante i dubbi: «Non sopportavo sentire dire da mia moglie che Gesù ci avrebbe aiutato. Oggi per me questa celebrazione è sacra tanto quanto per lei». Sacra per tutti loro, il popolo dei galeotti. Seppur uomini d’armi e di rude orgoglio, nulla possono contro la commozione: «Ho scelto questo luogo per il mio matrimonio perchè qui sono rinato, ho visto amici rinascere, qui sono piantate le nuove radici di una storia che ci ha fatti incontrare». Certi luoghi sono simboli e simboliche, liturgie e cerimoniali, lacrime e mani in pasta: «Prometto di esserti fedele sempre: nella gioia e nel dolore. Di amarti e di onorarti». Le parole hanno un peso: anche la legge lo sa.ù
L’abito da sposa e il vestito da sposo, le mani strette e l’anello al dito, il Pane e il Vino. Il tutto dirimpetto ai chiavistelli e alle divise, agli agenti e alle guardiole, al ferro e al cemento. Tutto dentro, tutto assieme, tutto nuovo: «Sai tu ciò che fa sparire questa prigione? – si chiedeva Van Gogh – Amare spalanca la prigione. Chi non riesce, rimane chiuso nella morte. Dove rinasce la simpatia, lì rinasce anche la vita». Per anni il loro amore si è retto su fili fragilissimi: una telefonata, un colloquio, una lettera. Un pensiero notturno, una fotografia in branda, un cimelio della propria donna. Il carcere è separazione e lontananza, privazione e lacerazione: il divieto di transito degli affetti. Poi, per un giorno, tutto questo scompare, vien quasi messo in ridicolo. Sono i giorni dell’amore folle e bambino, dell’amore nuziale: «L’uomo e la donna che si amano. Questo è il capolavoro» (papa Francesco). Aggrappati a quella vecchia anticaglia che gli uomini chiamano “cuore” e che, unico, riesce laddove anche la legge fallisce. Sono i giorni in cui credere nella risurrezione dei morti è dogma di fede; credere in quella dei vivi è uno spettacolo, immenso quanto il mare da contemplare.
Fine delle promesse: «Che la grazia di questo giorno si estenda a tutta la loro vita». Inizio di un nuovo vivere, dai bassifondi luridi della galera: perché la grazia di questo giorno si estenda per tutta la vita. Per tutte le vite di quaggiù.
(da Avvenire, 12 luglio 2015)