RegnodiDio

Fu l’uomo delle parole folli e bambine. Un giorno glielo dissero apertamente: «Tu solo hai parole di vita eterna». Fu la risposta alla sua domanda: «Volete andarvene anche voi?» Che era come dirgli tra le righe: “Tu solo sei capace di parlare al nostro cuore. Dove vuoi che andiamo lontani da Te?” Gli restano addosso, Lo calcano ovunque, s’appartano con Lui: quel suo parlare scarnificato ed elegante è come una riva verso la quale cercare l’approdo per salvarsi. Parole strane quelle del Rabbì. A sfidarle con la logica di quaggiù sembrano insulse, mezze storte, sbilenche: più una consolazione per anime afflitte che arnesi per uomini tutti d’un pezzo. Eppure son parole di fuoco, misteriose, dense di umanità. Non promettono l’eternità, fan molto di più: nella terra dell’effimero innestano un senso verso l’eterno. Parlano della terra in maniera diversa, più densa, quasi sopraffine. Sono parole di poeta: quelli che sanno vedere l’esistenza in una buccia di banana, il senso del vagare in un granello di sabbia, le tracce del Regno in una misura di lievito o in un chicco di grano. In un granello di senape, un misura da microscopio.
Eccolo il Regno di Dio: « E’ come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra» (liturgia della XI^ domenica del tempo ordinario). Ai discepoli quelle parole piacciono assai, restano ad ascoltarlo anche quando la tentazione d’andarsene è alle stelle. Gli danno fiducia anche quando lo sbruffone di Lucifero pubblicizza parole più veloci, in presa diretta, senza fatica. Le accettano, eppur sono urtati da esse: li sconvolgono, si stupiscono, anche s’infastidiscono ad ascoltarle di petto e di getto. Sono poche le parole dei Vangeli: il Regno è vicino, mutate le anime, fate presto. Le solite parole da millenni a questa parte. Eppure quando cadono in uomini ben disposti – in piccoli che vogliono diventare grandi, in giusti che vogliono diventare santi, in peccatori che mai s’arrenderono alle loro miserie – quelle parole mettono radici. Gemme e fiori. Fanno loro nuove le teste e il modo d’immaginare la storia.
Marco lo apre così il suo Vangelo, come il più navigato dei romanzieri: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). Compiuto è il tempo: ciò che toccava al Cielo è stato mantenuto. Vicino è il regno: tocca all’uomo adesso scegliere il daffarsi. Cristo ha preso l’iniziativa: ha bussato. D’ora in poi attenderà, sull’uscio. Rimarrà di passaggio Dio: intercettarlo è salvarsi. Distrarsi è dannarsi. Vederlo è capottarsi dallo stupore. Eccole le parabole: più che un trattato d’altissima teologia somigliano al collirio per gli occhi. Li guariscono, ne tolgono le occhiaie smunte, li aiutano a cogliere meglio i piccoli particolari. Permettono loro di vedere ciò che è già presente piuttosto che promettere qualcosa che verrà: li allenano a decifrare nell’infinitamente piccolo l’esordio dell’immensamente grande. Rimangono ancor oggi le parole di un Viandante cortese: “Il mondo sta cambiano, non vedete gente?” L’avversario, quello sbruffone e smargiasso, s’incapponisce a dire che il mondo cambierà. E’ il suo trucco per maledire il presente, rimandando tutto al futuro: Dio dice bene del presente, lo benedice, ne mostra il bello. “Guarda, non passare oltre, fermati. Vedi? Non è lo stesso: è poco, è piccolo, eppur vedrai come diventerà. Dagli tempo, accetta i suoi tempi”. Il Regno sta maturando: «Quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Non prima: che non lo si colga ancora acerbo. Non dopo: che non si faccia i conti col frutto marcio per troppo sole. Appena è maturo: con la giusta cottura, a tempo debito. Proprio allora.
Parole che sanno di tempo e d’eterno: dell’Eterno che si gioca nel tempo. Parole di speranza: non che il mondo cambierà, che il mondo sta già cambiando, in meglio. Anche se quello Sbruffone alza la voce e dice che tutto questo è follia: “Come fate a credere ad un Dio. Peggio per lui: vive così male che solo a dargli credito ci si addossa l’odore delle cose scadute. Delle anime avariate e delle parole scontate (Amen).

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