Nepal terremoto

Come ogni volta che succeda, lo stupore è immutato e lo sgomento irrimediabile. Quando la natura bussa alla nostra porta con questa forza, l’inchino diventa indemandabile, mentre il cuore si riempie di atterrito stupore.
Nessun cuore potrà mai adattarsi ad una tragedia di queste dimensioni, come migliaia di vittime causate da un terremoto.
Non si tratta di numeri. È l’evento in sé ad essere devastante. Basta chiudere gli occhi per un attimo, immedesimarsi e percepire quale sia il significato, per chi vive e per chi muore. È la distruzione di ogni minima certezza, di quelle piccole abitudini quotidiane su cui si riposa l’animo umano (tornare a casa, anche quando è ben lontana dall’essere una reggia, con la consapevolezza che lì si poteva stare al sicuro; pensare che le montagne siano resistenti, che le testimonianze della Storia avessero la protezione dall’aura sacra del loro valore civile e religioso), della tranquillità che accompagna soprattutto i poveri, nella convinzione che nulla possa rubare quel poco che è necessario a vivere.
Katmandu è un cumulo di macerie. Le bellezze della natura e dell’architettura si schiantano al suolo, con un tonfo sordo, quasi a chiedere pietà. Ci sono sollecitazioni a cui non possono proprio resistere.
Eppure, è la natura. Così hanno avuto origine i continenti, le montagne, questa terra che oggi calpestiamo forse milioni di anni fa erano nei più profondi abissi del fondale oceanico. Scontri tra placche, scosse sismiche, sommovimenti tellurici: anche ciò che è inorganico può muoversi. E quando lo fa, son sempre dolori.
Perché noi ci siamo sopra, come se ne fossimo padroni, ma siamo venuti dopo. Saremo anche più evoluti ed intelligenti, ma non abbiamo la priorità. La Terra stessa ha le sue regole, di cui, inutile negarlo, non siamo ancora riusciti a carpirne davvero l’andamento. Perché, pur essendo possibile cercare di prevenire danni a cose e persone tramite costruzioni antisismiche o valutare la probabilità del rischio,  non è possibile comprendere con sufficiente anticipo quando un territorio sarà colpito da scosse sismiche di grande rilievo, né per quanto tempo tali eventi si protrarranno.
Gli esperti dicono che questo terremoto non sia una sorpresa, perché il Nepal è un territorio sismico; tuttavia, non era previsto. Tradotto per i civili, che significa? Si può oppure no evitare tragedie. Se stiamo a vedere le zone sismiche nel mondo intero (dove, quindi, potenzialmente, potrebbe accadere una catastrofe causata da un terremoto), dovremmo evacuare mezzo pianeta. Senz’andare lontana, buona parte dell’Italia è a rischio sismico, più o meno alto. È possibile convivere con il rischio sismico, oppure no?
Una simile calamità è senza dubbio sconvolgente, non solo per il carico di vite umane che può trascinare nella sua polvere o nella distruzione architettonica o storica (come in questo specifico caso) che può portare con sé. Il dramma parte dalle piccole cose, dalle piccole certezze che distrugge in modo irrimediabile. Avere la vita sconvolta da un evento sismico, perché anche chi non perderà la vita, rimarrà col terrore che nulla potrà essere sicuro. Avrà perso qualcosa, quando non ha perso qualcosa. E certi “qualcosa” non sono solo cose sono anche tempo, impegno, sacrificio, lavoro (di ore, giorni, talvolta anni interi) e rinunciarvi è tra gli incubi peggiori di qualunque persona.
Naturalmente, per quanto valgano le cose, ciò che è incalcolabile sono le persone.
Uscire di casa tranquilli e non farvi ritorno. Pensare di essere tranquilli nella propria abitazione e trovarvi la morte. Andare per turismo e voglia di scoprire nuove culture a Katmandu e rimanerne sepolti.
E se non capita a te, capita al tuo vicino di casa, al tuo compagno di scuola. Come uscire dall’incubo?
Tutti ne siamo coinvolti, perché tutti, almeno per un attimo,  amiamo assaporare quel sentore di onnipotenza che è il substrato che sottintende quella folle progettualità e quell’attitudine che ci fa dare tutto per scontato, come se fosse normale aprire gli occhi al mattino.
Sono eventi straordinari come questi che ci fanno tornare coi piedi per terra, dopo averci sbattuto al muro.
Non siamo padroni di tutto, non possiamo permetterci il lusso di snobbare la bellezza quotidiana, persino quando è sotto le nostre aspettative (il Nepal non è certamente tra le grandi potenze mondiali, dal punto di vista economico): si può pensare di migliorare le condizioni di vita di tante persone, ma questo segue senz’altro il fatto che siano in vita. Le condizioni di vita sono migliorabili, ma noi uomini non siamo in grado di restituire una vita. E neppure di restituire un edificio dal valore storico inestimabile: potrà essere ricostruito, ma perderà inevitabile il suo carico di storia, il suo valore di testimone del tempo; nessuna ricostruzione potrà mai essere così fedele da addossargli quegli anni che ne avevano creato e mantenuto il fascino.
Nella tragedia di questi concitati momenti, prioritario è ritrovare quello spirito che ci fa sentire fratelli, che ci fa condividere il dolore, insieme con la pragmatici di far diventare pane, coperte, soldi e risposta ai bisogni di prima necessità degli sfollati il nostro sgomento.
Il livello di prevedibilità, cosa poteva essere fatto e non lo è stato, la prevenzione e le polemiche impongono di passare in secondo piano, perché questo è il tempo della solidarietà, in nome di un popolo colpito al cuore da un sisma di proporzioni inimmaginabili.
Quel che però resta a noi tutti, fin da subito, è la consapevolezza più viva e dolente di non essere invulnerabili, bensì di essere “nani (seppur bellissimi) sulle spalle di giganti (di cui non comprendiamo sufficientemente la dinamicità)”.


La Caritas Italiana ha già aperto un conto. I contributi possono essere inviati tramite C/C POSTALE N. 347013 specificando nella causale: “Asia/terremoto Nepal”.

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