sindone

E’ una debole immagine dai contorni sfuggenti. Eppure quel Volto è la reliquia più cara che il popolo cristiano annovera come orma della sua storia, della storia più ambiziosa e paradossale di tutte quelle sentite, narrate e inventate: quella di un Uomo, nato in terra di Nazareth, che ha attraversato la storia narrando il paradosso d’essere uomo e al contempo Dio. Non fenomeni paranormali, non visioni beatifiche, nemmeno apparizioni ad oltranza: la semplice dimestichezza d’attraversare i sentieri del dubbio e della sofferenza, dell’inaspettato e della sorpresa furono agli occhi del mondo il dolce sospetto d’essere figli di un Dio che, senza celare la miseria umana, ammaestrò a cercare e creare bellezza dentro i rivoli contorti e sinuosi della storia. Ne scelse Dodici: sbandati, primi tra gli ultimi, con fiuto di poeti e di pionieri. Uomini che colsero l’attimo e furono partecipi della stravaganza che stava facendosi storia, carne tra le carni. Lui li stregò narrando di Dio, che altro non era che narrare Sé medesimo. Con discrezione, con sommessa premura, con delicato afflato e gusto. Verso la fine dei giorni, raccolse la domanda delle domande, quella domanda che Gli fece intendere che era riuscito nel suo intento di rendere appetibile il Volto del Padre: «Mostraci il Padre e ci basta», Gli chiese un giorno Filippo, il discepolo ebreo che lo seguiva. Il Volto di Dio: il sogno che trafigge il cuore della creatura sin dal suo primo annunciarsi sulla terra. Vedere il Volto di chi l’ha pensata, amata, voluta. Vedere Colui che si addebita la sua vera paternità: «Chi ha visto me, Filippo, ha visto il Padre» (Gv 14,8-9). In presa diretta: fu sbigottimento per le menti e stordimento per il cuore. Mistero ad oltranza.
Quel Volto oggi è una reliquia, la più tenue e frastornante delle reliquie: la Sindone. Contemplarla è scrutare l’Abisso, rintracciare lo sguardo di Dio, fare i conti col peso della Bellezza. «Ecce homo» (Gv 19,5), disse il lavativo Pilato quando presentò Cristo per soddisfare la folla. Da mosca cocchiera qual’era, non s’accorse che la sua ironia nascondeva il segreto che avrebbe fatto amare nei secoli quell’Uomo: “Ecco l’Uomo vero, eccola d’ora in poi l’immagine dell’uomo. Memorizzate la fisionomia della Bellezza”. Loro risposero di pancia, il popolo sceglierà sempre Barabba: «Crocifiggilo». Lui lo mise nelle loro mani: il resto è storia incastrata e incastonata nei Vangeli. Da Risorto, lasciò come traccia un sepolcro trovato vuoto, delle apparizioni sommesse ad un pugno di donne e ad un manipolo di amici. Discreto anche da vincitore, Signore anche da Risorto. L’altra sua traccia è un lenzuolo che è svolazzato zigzagando tra le strade e i cuori degli anni seguiti a quell’annuncio. Un lenzuolo: biancheria quasi intima, il segreto del Sabato Santo, il misterioso rintocco di ciò che a nessuno era mai riuscito. Il lenzuolo come narrazione della Bellezza che è armonia e patimento, gaudio e costernazione, magnetismo e angoscia: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37). Il pellegrinaggio alla Sindone è tutto qui: guardare quel lenzuolo per guardarsi, amarlo per amarsi, scrutarlo per scrutarsi. Perché inabissarsi in quella misteriosa Bellezza è amare l’imperfetto, lo sfigurato, il deriso e l’oltraggiato. E’ scoprirsi uomini nel momento del fallimento, è sapersi trovati nel momento della perdizione, è sentirsi belli nell’attimo della bruttezza.
Al bisturi della finta perfezione, Lui scelse la verità della Morte: ne lasciò traccia in un lenzuolo. Perché l’uomo, contemplandolo, possa scoprire dove alberga la vera Bellezza: «Si resta conquistati dalla sua nobiltà, dalla sua maestà, dalla sua serietà, dalla sua tristezza» (P. Claudel). Quella bellezza che non è ordine e ricercatezza ma profonda verità di chi ha abitato seriamente la storia per rendere appetibile Dio. Guardarla è lasciarsi guardare da lei.

(da Il Mattino di Padova, 26 aprile 2015)

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