Pesce

Pescare pesce per un pescatore è l’ambizione che abita ogni sua notte. Quando all’alba succederà di trovarsi con le reti vuote, saranno mattine di mestizia e di pensierose traiettorie: non pescare pesce, infatti, per un pescatore è il fallimento più grande, la miseria di un mestiere che era partito come passione ereditata dai padri. Ce ne sarà uno ancor più grande, ad essere sinceri: quando, dopo una notte di pesca infruttuosa, qualcuno farà finta che tutto vada bene, quando invece il mare è stato avaro e infingardo. D’altronde gettare la rete è roba del pescatore, riempirla è affare del mare: se vorrà, quando vorrà, se gli parrà opportuno. La Scrittura conosce il mare: pure lei gli somiglia assai. Certi giorni tace, altri esagera, sovente tiene in sospeso.

Con lo struggimento delle barche addosso, abbarbicati alle vecchie usanze del mestiere paterno. Con buona pace del vecchio padre che – anni addietro e col dito puntato contro – profetizzò che sarebbero tornati di moda quei vecchi strumenti d’acqua: scafi e remi, barche e sale, il timone e quell’andazzo mattutino dei mercati da imbastire alla bell’è meglio. Gente tornata pratica delle acque del lago dopo l’intermezzo della sequela raminga per la Galilea. Tornati ai vecchi sogni d’un tempo, col ricordo di Lui sempre cucito addosso. Ad ogni piè sospinto, ad ogni giro di boa, ad ogni mattana di pesci: «Sognando da sveglio / davanti al mare immenso / non prendo neanche un pesce. / Non faccio niente? Penso» (poesia di un anonimo pescatore di Camogli). Sulla strada del vecchio paesello natìo, come emigranti di ritorno da un tentativo di fortuna fallato.
(M. Pozza, L’imbarazzo di Dio, San Paolo 2014)

Erano tornati ai vecchi mestieri di un tempo: abborracciati, nel gesto tipico di chi tenta di dimenticare ciò che è appena accaduto. Di chi, a conti fatti, ha castigato in una parentesi quei tre anni vissuti gomito a gomito con quel Rabbì che li aveva sedotti. Sedotti e abbandonati, pensano loro. Nelle anime pochi sentimenti, per lo più di mesta frustrazione per essersi fatti abbindolare da un Passator poco cortese che li colse – e li trafisse con un gettito di sguardo – mentre erano impegnati nel loro daffare quotidiano. Cafarnao, terra di sorprese, di pesche e di partenze. Una terra che oggi sembra essere stata la partenza di una grande illusione, della più grande tra le illusioni immaginabili: aver trovato Qualcuno che indicasse loro da che parte gettare la rete per pescare la felicità di una vita. Tre anni sono mille giorni e altrettanti inizi: olivi e datteri, zoppi e malfamati, sgualdrine e donne devote. Fiori di giglio e voli di passeri, spighe di grano e alberi di fico. Miracoli, diatribe e spiegazioni lasciate in calce ad ogni minima titubanza. Lui, loro e gli altri: una grande famiglia, con annessi e connessi dello stare assieme. Non s’erano scelti tra loro, non L’avevano scelto loro: s’erano trovati dentro il brogliaccio di una storia che sapeva di buono. E loro, pescatori avvezzi alle improvvisazioni del mare, ci avevano creduto. Gli avevano creduto. Fino alla fine Lui li amò; fino alla fine loro Gli dettero credito. Fino ad un passo dalla fine, a ragione di onestà: sotto la Croce si misero a russare sbadati. Svegliati di soprassalto al rintocco dei chiodi, si diedero alla fuga: morto il Capitano, i prossimi sarebbero stati loro. Pietro, povero cristo, quel gallo lo fece cantare. Chissà se fu solo a nome suo o, da perfetto capoclasse, rappresentasse il sentimento di tutta la ciurma. Poi stop.
Tornati a pescare: gettando la rete mandavano al mare le vecchie immagini di Lui, tirando la rete speravano di cavare lucci e pesci a volontà (liturgia della III^ domenica di Pasqua). In fine dei conti tre anni non son poi così tanti: “E’ stata una parentesi” si saranno detti ad oltranza. C’è da giurarci che qualcuno, forse più di uno, ogni tanto lasciasse parlare il cuore: “Sai, pescatore, ogni tanto mi par di vederlo, di sentirlo. Sono attimi nei quali il cuore mi batte all’impazzata”. E qualche altro a dar cenno con la testa, come a dire: “Succede anche a me, sai: mi vergognavo a dirlo”. Poi all’improvviso un vocabolario familiare: «Pace a voi!». Parole, pane, parole che sanno di pane: è Lui? Non è Lui. Basta illudersi. «Toccatemi e guardate». Non lo toccano, lo guardano solo. E Lui: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». A pescatori colti di sorpresa, il pesce è merce che trovano sempre a portata di mano: «Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro». Era Lui davvero: certi sguardi sono per sempre. Era tornato quel vecchio Amore che pensavano chissà dove: «Certi amori non finiscono mai. Fanno dei giri immensi e poi ritornano» (A. Venditti). Torna l’Amore, torna la festa del cuore, riparte la vita: d’ora in poi nessuno più li fermerà. Li ha presi per la gola: un piatto di pesce arrostito per festeggiare la riappacificazione dei cuori. Il Risorto è un Signore, per davvero: se scompare è per poi riapparire. Più credibile, più Amico, per sempre fedele. Loro Gli danno del pesce, Lui dà loro la pace. Pesce e pace: gli ingredienti di ciò che non tradisce.

 


Avviso parrocchiale
Con il numero di Pasqua del 5 aprile scorso, si è concluso il percorso sui cinque sensi nella rivista Credere. Sette puntate che sono state occasione di riflessione, di evocazione, di finestre aperte su orizzonti umani. Così umani da essere scelti da Dio per abitarli.
Mi farebbe piacere – da parte di chi li ha letti – avere qualche vostra impressione: ve ne sarei grato. Potete scrivere il vostro commento qui sotto oppure mandare una email a donmarcopozza@gmail.com (mettete in copia anche segreteria.credere@stpauls.it). E’ un aiuto per migliorare e migliorarsi lasciandosi aiutare dai lettori.
Grazie di cuore!

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