ladrone(*) Non gli era riuscito tra taverne, gabbi e bugigattoli da clandestino. Gli riesce adesso, sul limitare della forca, ad un passo dalla disfatta. Quell’altro compagno di sventura imbastisce una contraerea contro il Cielo: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi” (Lc 23,39). Lo sbeffeggiatore: forse non cattivo. Semplicemente avaro, tutt’al più deluso per una speranza fallita. Anche l’ultima: quella d’una salvazione disperata.

Disma, il taverniere, puntella lo sguardo lassù, oltre l’Uomo, sopra il suo capo: “Gesù Nazareno Re dei Giudei”. Gli ultimi pensieri: quel rabbino di nome Jeshua, che s’era dato il soprannome di “Emmanuele”, imparentato con i casati di Nazareth, attesa smunta del popolo di Giuda. Re: per acclamazione, per viltà, per spudoratezza. Anche lui è ladrone, ma gli fan schifo le beffe del compagno di merende: “Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perchè riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male” (Lc 23,41). Niente: bestemmie, solo disperazione, tanta bruttezza e altrettanta crudeltà.

Volta lo sguardo, ladrone di sinistra: ecce homo! Niente.

A voltare lo sguardo è l’altro, il furfante omicida. C’è fragranza di Cielo in quello strazio e lui l’avverte. Col fiuto della strada, intravede una strada dove non c’è più strada alcuna. Una storia dove non ci son più storie da raccontare. La imbocca, non si rassegna, ne tenta l’aggancio. Arriva laddove la disgrazia cede le armi: lui non s’è arreso, nemmeno l’Altro. Forse s’erano cercati, di sicuro Lui l’aveva cercato, adocchiato, pedinato. “E’ davvero Re, quell’Uomo – pensa Disma tra sé -. Ci siam trovati. Finalmente. Quassù, soli come cani: ad un passo dal baratro”.

La sua vita è giusto un po’ sgrammaticata: basterebbe un colpo di stile a rimetterla in sesto. Non ha mai creduto alla lealtà, nemmeno forse alla giustizia: stavolta, però, crede all’incredibile. E’ uomo dalle misure mai mezze: o tutto o niente. O un assassino o un innocente. Nemmeno qui mostra opzioni. Crede per davvero di venir strozzato accanto ad un re. Al Re: l’alternativa non calcolata. Incalcolabile.

Fa freddo lassù sul Golgota: gelo impietoso sulla pietà delle anime rinsecchite. “Un cantuccio solo, Gli chiederò”. Lo chiama per nome: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno!”(Lc 23,42). E’ l’eco di una memoria, il peso di un annuncio. Dal Golgota a Nazareth, più di diecimila giorni addietro: “Lo chiamerai Gesù” (Lc 1,31). Allora quel corpo sussultò nel grembo, oggi quel corpo si volta. Stavolta sono a volto scoperto: lui senza gloria alcuna, l’altro senza nessun passamontagna addosso.

In due: la Grazia e la disgrazia, la beltà e il disonore, la miseria e la misericordia, ciò ch’è stato e ciò che potrà divenire. Il sospetto e l’affidabilità, la nostalgia e il gusto, l’appetito e il sapore. Finanche la sapienza: Dio e l’uomo, il lupo e l’Agnello. La legge e l’Eterno. Lo costringono a morire per i suoi misfatti; lui, Disma il taverniere, deciderà da sé come morire: da sbeffeggiatore o da contemplativo.

Sceglierà la seconda opzione: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno” (Lc 23,42). Così, inaspettato quanto atteso, sorprendente quando desiderato, scarno di formalismi e di fraintendimenti. Come un bigliettino da visita lasciato a quel Passante: chissà mai. Non ha chiesto: nessun punto interrogativo nella supplica ragguardevole. Gli ha semplicemente fatto una confidenza, lui avvezzo alla birbanterie: “Uomo, ti credo. Sei Re. Buon viaggio lassù. Nel tuo altrove, se ti varrà memoria, dì una preghierina per me”.

Come le anime semplici: una candela, un’orazione e nulla più. Poi attesa: tanta, imbarazzante, unica attesa. Gli basta un cantuccio: sapere che stanotte, con gambe spezzate a colpi di clava, quell’Uomo si ricorderà di lui. Nessuno finora l’ha preso a giornata: al tramonto chiede un ricordo. Come balsamo di una storia sgraziata. Disgraziata.

L’inaspettato. Alle bestemmie non rispose, agli insulti non diede credito, alla viltà non cedette. Stavolta, però, tracolla pure Lui: “Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire;ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese” (Is 11,3-4). Parla, ed è l’unica risposta concessa dal patibolo. E’ un giuramento, ha il peso della festività: “In verità ti dico: oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23,43). Niente più ritardi, niente più contrattempi, niente più tempi lunghi: oggi. Adesso. Subito. Immediatamente. Di colpo. All’istante. Ora. Con me: il cantuccio inimmaginabile. L’imbarazzo impensato.

 


(*) Testo tratto da Marco Pozza, L’imbarazzo di Dio, San Paolo 2014)

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