Lei è la conferma: questo vecchio mondo "sta insieme solo grazie a quelli che hanno ancora il coraggio d’innamorarsi" (Fango, Jovanotti). Quattro volte campionessa italiana su strada, quattro Tour de France nel carniere accanto a tre Giri d’Italia, 5 Giri del Trentino, 3 Fleche Walone, oltre 400 vittorie tra prove di coppa del mondo, gare internazionali e competizioni di alto livello agonistico. Record sulle scalate tutt’ora imbattuti e una collezione di maglie che l’è valsa il soprannome di "Pantanina" nell’epoca il cui il Pirata di Cesenatico spianava veloce le montagne. Perché pure lei – figlia primigenia del toscano appennino e compaesana di quel Bartali-salvatore del lontano 1948 – appena la strada s’inerpica, silenziosa accende le danze. Sbalordendo la gente appassionata. E pensare che tutto iniziò a 7 anni con 37 punti di sutura alla gamba destra e una madre che urlava sconsolata. Perché la bicicletta mal s’addiceva al fisico di una bambina! Ma spuntano sempre così i sogni: basta che una gemma di poesia una notte ti svegli per dirti che senza bicicletta non sarebbe bello vivere e si parte. Perché questo è rimasto il ciclismo: una forza naturale, semplice, spontanea di un amore che diventa passione e che con il sostegno della passione diventa mestiere. Un bellissimo straordinario, mestiere. A Cascine di Buti (Pisa) non afferravano perché quella bambina alle Barbie e a Sailor Moon preferisse un tubolare immacolato o una catena lucidata, a Top Girl la Gazzetta dello Sport e alle All Stars scarpe con i tacchetti stranamente sulle punte. Alle discoteche, al casino delle metropoli, al rombo delle illusioni il silenzio eterno delle sue montagne. A lei bastava pedalare, sudare, faticare! Lo intesero più tardi quando quello scricciolo di donna sistemò il nome di quel piccolo paese oltre le vette innevate delle Alpi, al di là dell’Aubisque, dietro quei Pirenei che tante pagine di sport hanno scritto. Ma, soprattutto, quando compose brani di epica poesia nelle altezze in cui osano solo le aquile.
A 34 anni, dopo 15 anni di professionismo, sulla linea del traguardo per prima passa ancora lei, la vecchia lupa toscana.
Che ai piedi di ogni nuova salita torna ad innamorarsi delle vette!
La strada ben s’addice all’immagine della vita. Salite e discese, rallentamenti e intasamenti, buche, inerpicate e repentini cambi di direzione. La bicicletta chiede sudore, passione e costanza. In cambio offre silenzio, stupore e immaginazione. Stare in sella per ore e ore: a cosa si pensa?
Il tempo di posizionarmi in sella al mio "destriero" e mi si spalanca il pensiero, l’immaginazione, la creatività. E le meditazioni scandiscono il ritmo delle pedalate. Parlo con me stessa, analizzo i miei problemi, viviseziono i rapporti esistenziali, dipingo intuizioni dalla bellezza inusuale. Spesso l’allenamento del fisico è anche allenamento dell’anima perché la fatica annaffia di chiarezza i miei interrogativi. La bici, insomma, è ciò che Virgilio era per Dante nella Divina Commedia: la guida per traghettare la mia esistenza!
Giovane e atletica, vincente e intelligente. 4 Giri d’Italia, 3 Tour de France, 3 Frecce Vallone oltre 400 vittorie. Una laurea in tasca e un’altra in arrivo: cosa ti spinge a salire in sella, magari sotto un acquazzone, e faticare?
E’ arduo da spiegare e gravoso da far credere ma è così: la fatica m’innamora perché è la fatica che partorisce le gesta che scrivono la storia, che ripagano gli sforzi, che ti fanno sentire grande. E’ fatica la salita ma anche la discesa è fatica. Nello sport e nella vita. A guardarmi son fortunata perché la mia fatica è dolce: il gesto atletico è per me spontaneo sin da quand’ero bambina. E cerco di non snaturarlo.
Me lo chiedi spesso. Adesso te lo chiedo io: "Ma che razza di Dio c’è nel cielo", Fabiana?
Quando m’inerpico verso le altezze rispunta puntuale quest’interrogativo: e mi s’affissa al telaio. Del cuore. Mi tormenta, mi lacera, a volte non mi lascia in pace. Perché avverto che Lassù si respira tenerezza e comprensione, ma il grido di dolore per me è un suono assordante. Mi sento incapace di tradurlo! Rimane il fatto che Lui c’è e può tutto. Anch’io ci sono: e spesso tento di cercarne le tracce per "sfruttarne la scia"! Il giorno in cui sei diventato prete c’ero. E mi son detta: "Ma che razza di Dio c’è nel cielo?". Quel giorno aveva la faccia di un Dio meraviglioso, sorprendente, incredibile nella sua bellezza.
Ti battezzarono la "Pantanina" perché sembravi il Pantani "in gonnella". Un addio carico di rimpianti quello del Marco Nazionale. "Si è soli nel deserto ma si può essere soli anche tra gli uomini" – diceva A. de Saint-Exupery -. Spente le luci della ribalta, che cosa ti fa paura?
Il ciclismo non è solo storia di eroi, ma anche un album che custodisce fotografie di ragazzi/e semplici. Ho tre paure con le quali spesso inanello battaglie serrate: la cattiveria della gente, la falsità delle persone, l’ingratitudine. Conosco personaggi che sembrano vantare migliaia di mani amiche e poi, a porte chiuse, sono drammaticamente soli. Si è soli anche tra gli uomini, hai ragione! Ma io cerco la solitudine, la vado a scovare, la inseguo: nel suo laboratorio leggo, rileggo e correggo la mia esistenza di donna. Anche quando pedalo verso Asiago è come se entrassi in un mondo tutto mio: ad aspettarmi solo donna solitudine! E’ assieme che inventiamo le vittorie.
Sotto lo striscione d’arrivo di una tappa in salita… tutta sola: in un secondo la concentrazione di mille pensieri.
La vittoria: cos’è? E’ tutto: ricompensa, soddisfazione, esaltazione, respiro, potenza, compimento, prestigio, sospiro, risarcimento, sorriso. Un pugno alzato, una vetta conquistata, un avversario domato. E’ lei! Sotto lo striscione non penso mai a chi mi vuol male: in quell’attimo spalanco improvvisa la porta ai miei affetti più cari. In loro compagnia salgo sul podio. E festeggio!
Una domanda "a microfoni spenti": chi è Fabiana Luperini?
Non sono una campionessa e non sono un’eroina: sono una donna giovane e caparbia che non s’arrende, che tiene alta la passione della sua femminilità, che ogni mattina s’impone il comandamento della sincerità. Perché se un giorno parleranno di me come di una campionessa, il sogno è che come prima vittoria da celebrare mettano un’esistenza felice. E onesta! Il resto viene tutto dopo: anche se mi fa immenso piacere un complimento. E’ il risarcimento del sudore!
Nel 1920 il Poeta-Soldato D’Annunzio tributò alle Fiamme Gialle la celebre espressione "Nec Recisa Recedit" ("Neanche spezzata retrocede") Prima nacque la latina "Post fata resurgo" ("dopo la morte torno ad alzarmi").
A parlare del proprio formaggio, i malgari dell’Altopiano dicono: "Buoni si nasce. Non si diventa". S’altera la lingua, ma non il messaggio: se nasci campionessa, nemmeno spezzata retrocedi. Perché dopo la sconfitta torni ad alzarti!
Tanto di cappello, petite merveille!
Fabiana Luperini nasce a Cascine di Buti (Pisa) il 14 gennaio 1974. Negli anni ’90 esplode il mito della Lupa toscana: una donna che firma prodigi in sella ad una bicicletta. Tutti ne parlano: tv, giornali e telegiornali in prima serata. Fa impazzire i francesi quando inanella una serrata rivalità con Jeannie Longo, l’eterna rivale d’oltralpe poco amata a casa sua. Veloce, intelligente e navigata, è lungo i tornanti delle salite che scrive pagine di gesta gloriose. Quando le altre si siedono, le si sveglia e inizia a scattare. Dietro di lei il vuoto. Gestualità e prodezze che l’avvicinano al grande ciclista romagnolo Marco Pantani. Li accomuna l’onore d’aver riportato agli antichi fasti la passione per uno sport che stava calandosi nell’anonimato. Dopo 15 anni di professionismo e oltre 400 vittorie, venerdì 27 giugno 2008 è diventata campionessa italiana per la quarta volta. Lungo le salite dell’Altopiano spesso e volentieri perfeziona la forma prima dei grandi appuntamenti!
Tiene un sito internet: www.fabianaluperini.it. Navigare per credere!