incinta

Somiglia tanto ad un’officina la maternità. A quei laboratori dove entra un pezzo di legno ed esce una scultura; a quegli atelier dove un rotolo di tela diventa un vestito; a quelle latterie dove entra il latte ed esce il sapore del formaggio. La bottega della maternità: si entra donna e si esce mamma, cioè doppiamente donna. Donna appieno. Lo spazio dove l’amore prende forma, s’inventa una forma, diventa una forma. Una bottega dove anche l’amore si trasforma: entra sentimento, quando uscirà sarà storia. La più bella delle storie possibili, quella che gli uomini chiameranno col nome primordiale di “Vita”.
Attraversare le stanze oscure di questa bottega non è da tutti: solo alle donne è data la chiave per entrare e fabbricare la vita. Iniziano in due: lei e lui. Dopo nove mesi taglieranno il traguardo in tre: lei, lui e l’altro. Nel frammezzo, la terra della maternità. Chi l’ha percorsa narra di visioni e di visuali inaudite. Rimanda in onda la fantasia della prima creazione, quella della Scrittura, la madre di tutte le maternità. E’ gaudio e guazzabuglio, sorpresa e tensione, tremore e timore; imbarazzo, finitudine e spasimo. E’ vita, vita che si tocca con la morte, vita che raddoppia: sempre così. Chi nasce donna non nasce madre: potrebbe un giorno diventare madre. Per farlo, però, c’è un prezzo da pagare e ogni madre lo sa: la pancia che si gonfia, il seno che s’allarga, la bilancia che bestemmia. Gli svenimenti, la fiacchezza, l’ansia. Il timore di non tornare più quella di prima, la trepidazione di chi non ha addestramento alcuno ma sa che l’aspetta lo sbaraglio, la tentazione d’essere madre e figlia. Il fisico è l’immagine più bella di questa stagione della donna. Somiglia ad una botte d’autunno: l’hanno costruita per lasciarsi riempire del vino nuovo. Senza vino non è botte, è una botte vuota: le botti, però, sono fatte per custodire il vino.
Qualche donna, divenuta madre, sogna di annullare quell’avventura. La maggior parte, invece, ne va fiera e orgogliosa: aver ricevuto da Dio, come eredità e caparra, l’inaudito di poter dare la vita farebbe disperare i pittori ma incanterebbe i poeti. Fa disperare e incanta le madri. A stonare è dunque quella notizia lanciata a caratteri cubitali: «In forma il prima possibile dopo la maternità. Le star dicono “si può”». Che il corpo torni normale, che il fisico ritrovi agilità il prima possibile, che scompaiano le tracce minime di quell’avventura. Come se sformarsi per formare fosse una disgrazia alla quale dare la caccia, un indizio da nascondere per la vergogna, la traccia di ciò che non è gradevole allo sguardo. Eppure, a conti fatti, tutto si sforma per dare forma: il seme che si sforma lo chiami germoglio, il germoglio che si sforma lo chiami fiore, il fiore che perde forma si chiama frutto. Certi frutti, per gustarli, occorre sformarli: il limone, l’arancia, la noce di cocco. Anche il pane non nasce pane: è farina che si sforma, mollica che diventa impasto, pane che diventa cibo. Ciò che non si sforma, non forma: è una legge che in Natura non concede attenuanti.
Essere madre è accettare di sformarsi per organizzare la vita: il guadagno è scoprirsi madre laddove prima c’era solo una donna. Uscite da quella bottega, tutto cambierà: orari ed abitudini, concessioni e possibilità, sguardi e apprensioni. Cibo, vestiti e consuetudini. Tutto cambia, tutto è già cambiato ancor prima d’accorgersene. S’accetta tutto, solo il corpo si vorrebbe rimanesse lo stesso: quello di prima, quello perfetto, quello invidiabile. Lo si stressa con la palestra, le diete, le meditazioni; intrugli di acqua, succo di limone, pompelmo e pepe. Mangiando insalata e correndo maratone intere sul tapis roulant. Quando invece la madre è una donna che si è lasciata abitare. Le case abitate non saranno mai perfette: la perfezione, però, non è l’unica forma di bellezza.

(da Il Mattino di Padova, 1 marzo 2015)

 


Nota tecnica
Un giorno ho fatto un tentativo su photoshop. Ho trovato una foto di me bambino in braccio a mia madre: lei era snella come un grissino, oltrechè bella. La rivolevo così. Ho preso una sua foto di oggi e, lavorandola, le ho tolto quei kg in più che la vita le ha cucito addosso: un capolavoro. Quei kg in più, però, raccontano una storia: la nascita di mio fratello. Dopo quel parto, la mamma non li ha più persi (secondo me se ne è proprio dimenticata dalla gioia). Ho dovuto scegliere: meglio una mamma fisicamente perfetta e io “figlio unico” oppure meglio una mamma con qualche kg in più e un fratello col quale diventare grande? La mia risposta è stata chiudere Photoshop senza salvare i ritocchi.
A me mia madre piace così: con qualche kg in più. Il prezzo di non essere più da solo in camera mia.

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