Tre decenni. Oppure sei lustri. O, semplicemente, trent’anni. Tanto è durato quel piallare tavoli di Cristo dentro il silenzio mansueto ed eremitico di Nazareth, sotto l’egida maestra di un carpentiere e della sua donna. Chi ha osato farfugliare qualcosa in quell’oceano di silenzio, ha lasciato qualche nota sparpagliata di qua e di là; i più – e tra questi Marco, l’evangelista di questa domenica – han scelto di non scegliere nessuno di quei fatti. Lasceranno alla vita di Cristo – un concentrato assoluto di tre anni – dire chi fu e cosa volle quell’uomo che da un pezzo di terra, trenta chilometri quadrati, iniziò a costruire la strada verso il Cielo. La scalata verso la santità.
Oggi Cristo ha trent’anni: gambe in spalla e via (liturgia della I^ domenica di Quaresima). Il momento non è dei migliori: parte «dopo che Giovanni fu arrestato». Il vento è contrario, la tormenta è sotto gli occhi di tutti, la tempesta ha già iniziato a fioccare i primi chicchi sulle teste degli amici: sulla testa di Giovanni, prima di tutto. Eppur partir si deve: nei Vangeli chi ha un perché abbastanza forte può superare qualsiasi come. Non potrai scegliere se morire o meno: potrai, per, scegliere come morire: da schiavo o da uomo libero. Lui parte: il Nazareno parte. E parte guardando in faccia l’Avversario, colui al quale ha lasciato la chance di giocare le sue carte fino all’ultimo brandello di storia. Parte da Lui, parte con Lui, parte guardando Lui. Nella terra che, tra i due, è più favorevole a Lucifero che al Nazareno: il deserto. Lo spazio inospitale, la terra infingarda, la spogliazione che umilia e interroga. Il luogo scelto dal Cielo per “portare in ritiro” i suoi profeti, smontarli e rimontarli per poi rimandarli a casa. In quella che dovrà rimanere nei secoli futuri casa e memoria: le strade del mondo. Meglio se quelle sconnesse, slabbrate, bucate e distrutte dalle intemperie. Strade da riparare.
Anche Lui parte da qui. Meglio: sopratutto Lui parte da qui. Per Chi amò dirsi Uomo e Dio – perfettamente uomo e perfettamente Dio – non c’era alternativa possibile: era necessario spartire con l’umano ciò che dell’umano è più tipico: la tentazione, l’essere tentati, l’umiliante sfida con chi promette molto meno ma lo promette in tempi più rapidi. Con un guizzo di malizia, con un tocco di perversione, con quell’arrogante sorriso ch’è rimasto il tratto caratterizzante di coloro che imbrogliano per stregare i cuori. Lui è l’Uomo della fedeltà, della lealtà, della verità: l’Uomo dei tempi lunghi e delle attese spropositate, delle accelerate e delle decelerazioni. L’Uomo che, in vita, pochi ascolteranno: ancor meno gli daranno credito. L’altro, invece, è l’uomo del sorriso che inebetisce, dello sguardo che abbindola, colui che promette sapendo di non poter mantenere. Eppur vincente, eppur fascinoso, eppur collaudato nelle sue stregonerie. Mica rozzo, anzi.
Qui appare chiaro il nocciolo di ogni tentazione: rimuovere Dio che, di fronte a tutto ciò che nella nostra vita appare più urgente, sembra secondario, se non superfluo e fastidioso. Metter ordine da soli nel mondo, senza Dio (…) è la tentazione che ci minaccia in molteplici forme.
Della natura della tentazione fa parte la sua apparenza morale: non ci invita a compiere il male, sarebbe troppo rozzo. Fa finta di indicarci il meglio: abbandonare finalmente le illusioni e impiegare efficacemente le nostre forze per migliorare il mondo. Si presenta, inoltre, avanzando la pretesa del vero realismo. Il reale è ciò che si constata: potere e pane. A confronto le cose di Dio appaiono irreali, un mondo secondario di cui non c’è veramente bisogno.
(J. Ratzinger, Gesù di Nazareth)
Da quell’incontro, Satana se ne uscirà cotto a puntino. Più di dire, dunque, che Gesù è stato tentato da Satana nel deserto, sarà più onesto d’ora in poi dire che è stato Satana ad essere vinto da Gesù nel deserto. Lasciandogli pure credere d’essere Lui a manovrare le azioni, ad accendere il duello, a sferrare l’ultimo colpo. Ciò che vale – come garanzia e come anticipo – è la finale di quella pagina: la brutta bestia se ne va a gambe piegate. E l’Altro, il Vincente, più che esultare, tira dritto: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Il tempo è compiuto: Satana è smantellato, d’ora in poi sarà nelle possibilità di tutti fare altrettanto. Il Regno di Dio, però, è vicino: non è dentro, rimane ad un passo dal possibile, alla giusta distanza della libertà umana. «L’onnipotenza debole di Dio senza l’uomo non può fare nulla. La libertà dell’uomo è l’argine nel quale Dio ha voluto confinare la sua onnipotenza» (A. D’Avenia, Ciò che inferno non è). Tra la compiutezza e la vicinanza, l’invito degli inviti: «Convertitevi e credete nel Vangelo». Convertitevi, dice Dio: cioè voltatevi verso di me, lasciatevi guardare, guardatemi. Guardiamoci. E credete nel Vangelo, non al Vangelo: buttatevi dentro la mischia, mani in pasta e sorpresa nello sguardo. Con te. Con me. Assieme: dentro il trambusto della storia. Fino in fondo, quando tutto sarà compiuto.
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