Stonehenge

Una storia dentro il tessuto di tante storie. Una storia tra le storie che diventa la storia: quella per eccellenza, la più ambiziosa, la più densa di paradosso e di sorprese. Quella dell’Uomo che, venuto da Nazareth, tentò la scalata del Cielo: riuscendoci appieno, unico tra i tanti che hanno tentato lungo il corso dei secoli. Una storia, dicevamo: la storia, per l’appunto. Quella storia che diventa storia incrociando la faccia della suocera di Pietro e dell’emoroissa, di Levi e di Giairo, di Nicodemo e Marta, di Susanna, di Pilato ed Erode. Di Anna, Caifa e Cleopa. La storia di un uomo inevitabilmente e seriamente dentro le strade della gente: l’Emmanuele, per l’appunto, come scelse di soprannominarsi. Così dentro che non si potrà arrivare alla conoscenza del suo volto – sogno “proibito” sin dai tempi di Mosè – se non nei luoghi in cui esso scelse di spogliarsi: appresso al lago, sulla cima della montagna, nella pianura, sulla nudità del Golgota. Togliete a Cristo la storia, non rimarrà che un fantoccio di cartapesta, impossibile anche solo da immaginare come appiglio di salvezza.

Se volete sapere chi sia quel Gesù Cristo che, fin dal titolo del mio libro, ho chiamato Messia e Figlio di Dio, è necessario che ne leggiate la storia. Occorre che vi addentriate nel racconto di quanto egli ha detto e fatto, di quello che gli è successo nel tempo della sua missione, fino al suo epilogo pasquale. Sarà il dipanarsi del racconto a dare il contenuto reale di questi due titoli e di tutti gli altri che, se continuerete la lettura del mio Vangelo, sentirete attribuiti a Gesù. Sarà nel quadro delle azioni e delle parole, degli avvenimenti, e specie degli incontri che tessono la trama della storia del suo ministero, che potrete giungere a cogliere chi è l’uomo di Nazareth e in che modo egli è il Cristo e il Figlio di Dio.
(M. Vironda, Gesù nel Vangelo di Marco).

Una storia dentro tante storie. Vicende ed accadimenti di persone che, incontrandolo, si sentono da Lui guarite, sanate, riaccreditate; ma che, incontrandolo, permettono anche a Lui di mostrarsi per come è davvero: il signore della vita, il curatore di anime, l’Uomo dei miracoli e degli sguardi. Come nel vangelo scritto da Marco, nome portentoso della Scrittura. Se qualcuno s’azzardasse a chiedere a lui – uno dei quattro che lasciò un diario di quella spettacolare e spettrale avventura di uomini e di Cielo – chi fu quel Nazareno per lui, la risposta sarebbe chiara, forse anche banale: “Chi fu quell’uomo, lasciatelo dire a Lui”. Ascolta la sua storia, buttati dentro al Vangelo, siediti ai bordi di quella strada, sul ciglio di quel fiume, sulla battigia di quel lago. Siediti e ascolta: ama e comprenderai (liturgia della VI^ domenica del tempo ordinario). Lui guarisce loro – «Subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato» – e loro svelano il suo volto: «Lo voglio, sii purificato». Stavolta è il lebbroso: la feccia della città, l’appartato, il pesticida dei pesticidi. L’uomo dalla doppia malattia: la lebbra e l’allontanamento, la carne putrida e le membra solitarie, la sofferenza e l’ignominia. Parte da lui la macchina dei miracoli del Cristo: dai fondali del basso, dai sottofondi della malattia, dalle catacombe della dimenticanza e dell’orrore. Parte da chi è poco più di nulla, ma tanta educazione e rispetto: «Se vuoi, puoi purificarmi». Se vuoi: nulla ti è dovuto, Uomo di passaggio. Se ti piace, se ti sembra opportuno, se non ti è di intralcio nel tuo diventare Uomo appieno. Se vuoi: altrimenti lascia stare, dimenticami, spostami con un calcio come fan tutti appresso a me. «Se vuoi»: la discrezione dei poveri, la non arroganza di chi soffre, la dignità di chi non chiede nient’altro che uno sguardo. «Se vuoi»: vedi tu che fare.
Quell’uomo lo vuole. Lo vorrà sempre, mai nessuna ferita sarà da lui scansata: «Lo voglio, sii purificato». Però non dirlo a nessuno. Figurati: se Tu non ti sei vergognato di stringere le mie membra, come puoi tu, Dio, dirmi di tacere la tua grandezza, il tuo ardire, la tua misericordiosa compassione verso di me. Lo griderò, lo urlerò, lo affiderò ai quattro venti: poi, se vuoi, rimproverami pure. Non chiedermi, però, di tacere il tuo amore. I poveri canteranno, i sapienti sbufferanno, sacerdoti ed erodiani trameranno di mandarlo al patibolo: «Che è mai questo? Comanda persino agli spiriti impuri e questi gli obbediscono» (Mc 1,27). Lui lo sa, ha il fiuto delle grandi occasioni e dei più turpi tranelli: lo sa e per questo non torna indietro. Un giorno costoro li chiameranno i “poveri Cristi”: li additeranno col sorriso di chi si sente ricco, con il piglio buffo di chi scruta il mondo dall’alto, con l’ignavia dei nullafacenti. Eppure diranno niente meno che la verità, la più piccola e la più sublime delle verità: perchè il Cristo scelse Lui di mostrarsi attraverso lo sguardo dei suoi poveri, dei “poveri Cristi” per l’appunto. Fate una prova: togliete gli sbandati dal Vangelo e ciò che vi rimane altro non sarà che la visione di un film straniero senza sottotitoli.
Difficile da comprendere senza un traduttore vicino. Senza un povero come maestro di madrelingua.

 

Un grazie e un promemoria
* Un grazie alla Redazione di Credere per avermi concesso l’onore della copertina nel numero della rivista in edicola questa settimana. Dal prossimo numero – per sette numeri consecutivi, fino a Pasqua – troverete un inserto, scritto da me, da staccare e raccogliere: per meditare, per lasciarsi sorprendere, per gustare il Cristo dei Vangeli. Sarà un camminare assieme, seppur lontani, accanto allo stesso Cristo lungo i giorni della Quaresima.

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