nebbia3

L’uomo è di quelli tosti: «Non è un crumiro, uno che taglia la corda quando la si fa brutta. Tira fino all’ultimo, è fedele fino all’ultimo. Non diserta, non scappa. Se anche gli altri scappano» (P. Mazzolari, Il compagno Cristo). Il fatto, però, è che a scappare sono i suoi: quelli dell’ora prima, le avanguardie della minuscola Chiesa nascente, quelli che – a conti fatti – avrebbero dovuto reggere il peso di quella vista che si stagliava davanti ai loro occhi (liturgia della XXII^ domenica del tempo ordinario).

Oggi, invece, sembra tutto scaraventato: avranno capito qualcosa quei primi uomini di quell’Uomo che fu il primo tra gli uomini a dirsi di Dio? A dirsi Dio. Credere al miracolo è sempre stata la scorciatoia della fede: se non la scorciatoia, la via facile, quella veloce e manifesta, l’autostrada per dire pure noi a Lui “Tu sei il Cristo, sei il mio Dio”. Poi quando la strada s’impenna, quando tra Nazareth e Gerusalemme c’è un vicolo tortuoso da imboccare, quando nessuna circonvallazione è possibile per accorciare il vagare, allora stop: “E se fosse tutta un’illusione? Forse ha ragione Satana: che sia affidabile un Dio così?” I giorni delle ceste che grondano pane e spandono pesci, delle membra risanate e degli occhi luminosi, degli storpi raddrizzati come abeti e delle ossa rimpolpate di carne sono assai lungi. Oggi Cristo chiude il suo puerile vagabondaggio tra le viuzze di Palestina e i campi di anemoni selvatici. Quello era il tempo della sequela e dell’annuncio: trent’anni e passa di silenzio, qualche pugno di mesi di rodaggio spensierato (o quasi) con quell’abbozzo di Chiesa nascente e il tempo è maturo per ridisegnare la traiettoria del loro andare: «cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto». Gerusalemme non è Nazareth e nemmeno Betsaida. Non ha il fascino puerile di Betlemme – tra stelle e stalle, comete e zampognari – e nemmeno il sapore di sorpresa del lago di Genezareth: Gerusalemme è terra di salita e di croci, d’incroci e di voltagabbana. E’ terra di martirio e di sofferenza, d’abbandono e di pesante silenzio. E Pietro lo sa: per questo trema. Che poi è un assurdo: lui, l’uomo che dà del tu alle burrasche, s’intimidisce di fronte all’avvenire: teme per l’Amico, trema per ciò che sarà di lui, s’impensierisce di fronte ad un Dio diverso da quello che s’era immaginato. Non tace. Lui le cose le dice d’impeto, con furore, con fanciullezza di cuore: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Mai: l’avverbio che si riserva agli amici più intimi quando si parla di soffrire, un avverbio che odora di custodia, di cura, d’affabile premura. “Mai, Signore: non andrai a Gerusalemme”.

Tra lo stupore di domenica – «Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio» – e l’incomprensione di oggi – «non ti accadrà mai» – c’è Pietro. Con quell’umana e struggente fatica di scoprire che Dio non è come lo s’immaginava: forte, deciso, rappresentante di soluzioni. Dio rimane Dio: deciso, fedele, così severo con se stesso d’apparire tremendamente uomo. Il più umano tra gli uomini. Umano fino alla dissoluzione dell’amicizia più intima: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». L’amico che diventa scandalo, schifosissima tentazione d’accorciare la strada impervia: quel tarlo malizioso del Demonio che truffa, illude e poi delude. E’ costoso dare del Satana all’amico: eppure Cristo lo fa. Lo deve fare, sente il bisogno di farlo, è urgente farlo: non sia mai che Pietro perseveri con quell’idea sbagliata di Dio, magari narrandola ad altri. E’ incalzante la sfida di Cristo, non ammette ritardi: per Gerusalemme ci dobbiamo passare, il Calvario va affrontato, la Croce non va rigettata. Lì dietro c’è un giardino da abitare: tutto è pronto per la Pasqua, gli angeli stanno già facendo le prime prove dei canti, Maria è da giorni che si sta rinforzando il cuore per il sabato dell’abbandono: lei e qualche altra donna del vicinato più prossimo. E’ tutto un trambusto oggi: pensavano d’andare sempre dritti e invece Cristo svolta: «Resta un’esperienza di eccezionale valore l’aver imparato infine a guardare i grandi eventi della storia universale dal basso, dalla prospettiva degli esclusi, dei sospettati, dei maltrattati, degli impotenti, degli oppressi e dei derisi» (D. Bonhoeffer). Verso Gerusalemme, terra d’imbarazzo, lacrime e sorpresa: rigorosamente in ordine d’apparizione.
Per non illudere nessuno.

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