conigli

Le sbarre delle galere m’ammaestrano circa l’illimitatezza della banalità: un mattino pensi d’averla circuita, nel frattempo lei è già salpata altrove. Più in là, sempre un pizzico oltre l’immaginabile. Eppure oggi, a notizia letta, mi sarebbe piaciuto che qualcuno m’avesse rassicurato che “non è vero”. Che quella notizia celebrata dalla cronaca è una bugia. Che lo Spring Break Invasion – tre giorni di sballo totale tra musica, eccessi e trasgressioni – è stato solo un articolo fantasma di una cronaca feriale (nella foto in basso, da Il Mattino di Padova, 29 aprile 2014). Qualora poi fosse accertata la verità dell’episodio (come realmente è), allora sarà più chiaro come aveva ragione don Oreste Benzi nel dire: «(Giovani) ribellatevi, non con la violenza ma con la vita (…) Vi costringono a consumare emozioni: per il sistema è meglio che voi siate drogati. Io spero che i giovani si sveglino». Che si sveglino e trovino l’ardire di gridare che questa non è vita. Che tutto ciò non appartiene loro.
Essere giovani è avere la possibilità d’andare controcorrente, di firmare la propria vita da protagonisti, d’impedire a chiunque di rubare la speranza ch’è conficcata come anelito profondo nel nostro cuore. Che bisogno ho io di sballare, d’abbandonare qualsiasi freno inibitore, d’annullarmi in un divertimento passeggero se la felicità abita nel mio cuore? Chi mi costringe ad essere così ingenuo da pensare che i problemi – spostandoli o mettendoli nel parcheggio del pensiero – si risolvano da sé: non calcolandoli, zittendoli, dimenticandosi di loro? Forse che, una volta rincasati, avremmo guadagnato una ragione in più per poter dire d’essere uomini e donne rivoluzionari? Come si potrà poi trovare il coraggio di gridare a squarciagola il sogno di riappropriarci del nostro presente quando ciurme di ragazzi/e decidono che il loro presente non vale poi più di un centinaio d’ore di sballo e sbornia? “Lasciarsi andare” talvolta funziona da sinonimo di “lasciarsi morire”: dalla moda del momento, dalla stupidità generale, dall’ingenua illusione d’essere sempre padroni dei propri sogni. Qualcuno dirà che coi tempi che corrono i giovani hanno bisogno di non pensare, di divertirsi, d’estraniarsi per un po’ dalla fatica della quotidianità: sono i medesimi che poi, dalle sedie delle loro osterie, rinfacciano ai giovani la fiacchezza dello spirito, la mollezza degli ideali, la miseria delle aspirazioni. E’ vero: per il sistema è meglio che loro siano drogati, dipendenti, foresti a loro stessi. Riusciranno meglio a controllarli, a farli ragionare come vogliono, ad anestetizzarli fino a farli addormentare definitivamente. Con buona pace di chi ci sta a questa logica di festa ch’è logica di morte. Dell’anima, prima di tutto.
Colpisce la concatenazione degli eventi. I tre giorni dello Spring Break Invasion hanno corrisposto ai tre giorni di Roma con la sua celebrazione della santità di due Papi. Anche là c’erano frotte di giovani: felici ma non sfigati, arditi ma non ingenui, speranzosi ma non illusi. Han dormito sotto le stelle, sotto i ponti, sull’asfalto: per sentir parlare di speranza, di presente e di follia. Per sentirsi dire che tutto questo è possibile, a portata di mano, sulla soglia di qualsiasi giovinezza. Giovani che amano i sogni, che si sentono orgogliosi d’appartenere ad una comunità d’avventurieri, che vogliono diventare protagonisti della loro vita. Che accreditano ad un Papa la loro fiducia, perché quell’uomo ripete loro in tutte le lingue del mondo che loro sono molto di più di quello che la gente vorrebbe far credere loro. Che sono degli artisti e non dei manichini, che hanno il timone della nave in mano e non il lettino, che a loro è chiesto d’allenarsi affrontando i problemi e non nascondendoli. Sbaglieranno anche loro ma saranno errori che, riletti e meditati, diverranno la prefazione d’una vita da protagonisti. Qui sulla terra: non a tre metri sopra il cielo.

(da Il Mattino di Padova, 30 aprile 2014)

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