Torna alla ribalta, in questi giorni, a causa di una sentenza della Corte costituzionale che ne stravolge significato, principi e linee-guida, la legge 40 è la sua attuazione.
La prima domanda da farci, prima di fare qualunque affermazione al riguardo è: sappiamo davvero di cosa stiamo parlando oppure ragioniamo per sentito dire, sulla scia delle emozioni che un argomento tanto delicato – inevitabilmente – suscita.
Il secondo passaggio è capire come sia che, anche in questo caso, pare riproporsi la contrapposizione laici vs cattolici, quasi che tale battaglia sia necessaria e preventivata dal principio. Metto subito in chiaro (e mi auguro che il proseguimento potrà meglio precisare le motivazioni) che Dio, in sé e per sé non è in ballo, se non per l’amore che nutre nei confronti delle proprie creature. In parole povere: il no o il sì a questioni etiche come queste non è dettato da dogmi religiosi o prescrizioni, ma, in prima istanza, da motivi dettati da buon senso, scienza, coscienza, psicologia e antropologia (eventualmente confermati o supportati, in taluni casi specifici, dal Catechismo o da altri documenti inerenti, quali ad esempio l’Humanae Vitae).
Questa premessa è fondamentale perché spiega anche il motivo per il quale non basta che chi non sia d’accordo ‘se ne tiri fuori’ (buffo, poi, pensare che questa stessa esortazione era fatta agli abolizionisti americani contrari alla schiavitù!): la sociologia insegna che ciò che è male per la società, danneggia ogni singolo individuo. Ecco perché è interesse di tutti e di ciascuno combattere anche quelle ingiustizie e prepotenze che non lo riguardano direttamente!
La legge 40 è quella che, dal momento della sua approvazione, ha regolamentato, in Italia, non solo l’accesso alla fecondazione in vitro delle coppie che ne facevano richiesta, ma anche l’esito degli embrioni manipolati durante tale pratica.
Questi, in sintesi, i passaggi generalmente richiesti per una fecondazione assistita:
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Induzione della superovulazione: il ciclo della futura madre viene di fatto arrestato nel suo naturale fluire e posto sotto controllo medico, utilizzando adeguati dosaggi degli ormoni che regolano l’attività ovarica e sottoponendo le gonadi femminili ad una iperstimolazione.
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Monitoraggio: lo stato ovarico viene controllato sia ecograficamente, sia dosando i livelli ematici degli estrogeni femminili, per cogliere il momento più favorevole, nello stadio pre-ovulatorio, per il prelievo degli ovociti.
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Prelievo: stimolate le ultime fasi del processo maturativo, si procede alla raccolta degli ovociti mediante agoaspirazione per via transvaginale o transcutanea addominale.
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Coltura in vitro: si permette alle cellule germinali femminili di completare il proprio sviluppo in terreno adatto, mentre separatamente si prepara il gamete maschile, lo spermatozoo.
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Fecondazione: ogni ovocita viene messo in contatto con gli spermatozoi (in genere in carica oscillante da 10.000 a 100.000) in terreno adatto in ambiente termostatato a 37°C. Lo zigote è riconoscibile entro 24 ore dall’avvio di questa fase; controllati nella loro morfologia, i vari zigoti ottenuti vengono passati in un terreno di crescita e monitorati fino allo sviluppo di embrioni di 4 – 16 cellule.
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Trasferimento in utero: in numero variabile (la legge italiana ne prevede tre), talvolta dopo essere stati sottoposti ad una diagnosi genetica preimpianto (proibita dal testo italiano), gli embrioni vengono trasferiti nell’utero femminile, già precedentemente preparato all’impianto.
L’efficacia attuale del processo, cioè il numero dei nati vivi, si attesta, per i centri migliori, intorno al 23% (3). Infatti, delle gravidanze avviate il 22% terminano in aborti spontanei, il 5% in impianti ectopici (cioè al di fuori dell’utero), il 27% danno origine a gestazioni multiple (con il rischio della riduzione fetale, che consiste nella uccisione di uno o più embrioni già impiantati per “ridurre” i problemi fisico/psicologici della madre nel portare avanti una gravidanza plurigemellare), il 29,3% sfociano in un parto pre-termine e il 36% in nati a basso peso (4). Il problema è ben noto agli operatori del settore e dipende dall’elevato numero di anomalie cromosomiche presenti negli ovociti, frutto dell’iperstimolazione ovarica, e negli zigoti, ottenuti con la fecondazione in provetta.(Dati e informazioni da: cavmelzo)
Fino a questo momento, in Italia, era consentita solo la fecondazione in vitro omologa e proibita quella eterologa.
Che significa? Le coppie che faticavano ad avere figli procedevano, innanzitutto ad una iper stimolazione ormonale; dove tale processo risultasse insufficiente al concepimento, esso avveniva in laboratorio, procedendo quindi all’annidamento dell’ovulo fecondato nell’utero della donna. Un procedimento di questo tipo si chiama omologo perché entrambi i gameti provengono dalla coppia che ne fa richiesta e l’unica forzatura rispetto alla natura è l’ambiente in cui avviene il concepimento. Vi è tuttavia la perplessità etica sul numero di embrioni utilizzati – in Italia il numero è limitato a tre, in altre Paesi è consentito impiantarne molti di più – e sulla fine che attende gli embrioni soprannumerari.
La fecondazione eterologa pone quesiti ancora più impegnativi. Si introduce un donatore esterno alla coppia e, spesso, più di uno: le persone coinvolte possono arrivare ad essere anche cinque (donatore di sperma, donatrice di ovocita, madre surrogata e genitori richiedenti, come nel caso recentemente citato). Questo iter aumenta le complicazioni sia di tipo medico che di tipo etico.
L’anonimato o meno dei donatori è tra i primi, in entrambi i casi. Non garantire l’anonimato, scoraggerebbe i donatori. Garantirlo significa avere una storia clinica quanto meno “monca” del nascituro, dettaglio che potrebbe essere pesantemente controproducente nel caso di anomalie e malattie genetiche. A questo, si aggiunga l’handicap psicologico di non sapere chi sia il proprio padre e/o madre biologici per il figlio, così come il fatto di generare figli “a propria insaputa”. Tutto ciò è solo apparentemente privo di conseguenze: nei Paesi dove ciò è già in vigore, è già capitato che il padre, magari dopo molto tempo, voglia sapere che fine ha fatto il figlio biologico, che voglia conoscerlo. È la natura umana. Arriva un momento in cui abbiamo bisogno di riconoscerci padri e madri per qualcuno, di prendere su di noi la responsabilità educativa che magari abbiamo cercato di scansare fino a quel momento.
Vi è poi una motivazione che non mi spiego. Addurre come motivazione per il sì all’eterologa la necessità, vista per alcuni come imprescindibile, di ‘avere il figlio in grembo’. Prima di ogni contestazione alla plausibilità e legittimità di tale umano e comprensibile desiderio, è necessario ribadire un particolare che, a questo punto, dovrebbe essersi reso evidente. La fecondazione eterologa, che ha in comune con l’omologa l’abuso, la manipolazione -in una parola, la mancanza di rispetto per l’embrione (che altri non è, a livello biologico, che il primo stadio formativo dell’essere umano!)-ma rende anche molto più probabile il non avere un figlio in grembo, ma affidarsi, per così dire, al grembo di un’altra persona. Non solo: ha in più lo smantellamento dell’istituto familiare e l’esposizione alla creazione di nuove forme di schiavitù, prostituzione e compravendita di esseri umani.
Esagero? Può darsi. Ma da dove vengono e di chi sono gli ‘uteri in affitto’? Non credo desti eccessiva sorpresa attestare che ci si rivolge per lo più a donne del terzo mondo, che accettano di mettere in vendita il proprio corpo per dare un figlio a qualche coppia occidentale. Non è forse questa una forma di sfruttamento del corpo femminile? Non è una forma di post-colonialismo?
Sconfitta l’ignoranza, il passo successivo per raggiungere la libertà del pensiero e dello sguardo è quello di abbattere il muro della paura della verità, che ci impedisce di dare ad ogni cosa il proprio nome, nell’illusione di mitigarne pietosamente la brutale artificialità, in nome di una compassione troppo parziale per essere onesta.
Altri link utili:
Aleteia
Emanuele D’Onofrio
Corrado Paolucci