Betania, la città dove Cristo è di casa. Lì, tra il torrente Cedron e le mura di Gerusalemme, è come se l’Uomo di Nazareth lasciasse la sua divinità fuori dalla porta: troppo ingombrante in quel minuscolo rifugio, pertugio di anime pure e nobili come Marta, Maria e Lazzaro (liturgia della V^ domenica del tempo di Quaresima). I tre fratelli di Betania, per l’appunto: forse un po’ così tonti da non aver mai chiesto nemmeno il più piccolo dei favori a quell’Amico così rinomato. Un’assunzione al Tempio, un cenno per un aumento di stipendio, per uno scatto d’anzianità. Per un nonnulla. Mai. Forse per questo torna spesso da loro: “C’è un piatto di pasta anche per me, stasera?”. Eppoi, come contributo spese, l’accredito che altrove farebbe impazzire: “La mia pace scende su questa casa. Ch’è casa di cuori e d’amori”. Il luogo appresso al quale nacque quest’amabile storia d’amicizia a nessuno è dato sapere. Ci basti la confidenza di Giovanni, uno ch’è vissuto accanto all’Ospite:“Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro”.
Come quel giorno. Nel mezzo di un sopralluogo in TransGiordania – anche Cristo prese le misure nella vita di quaggiù – improvvisamente Gli giunge una notizia commissionata da Marta e Maria, le sue “sorelline” adottive: “Signore, ecco, colui che tu ami è malato”. Stanno parlando di Lazzaro, non di uno qualsiasi. Dell’amico, del suo fratello, del padrone della casa di Betania. E, vista la familiarità, t’immagineresti Cristo fare un cenno ai Dodici: lasciare tutti, correre, ansimare, faticare. Esattamente, ma all’opposto: “Quando sentì che era malato rimase due giorni nel luogo dove si trovava”. Per fortuna che lo amava. Si trattiene due giorni: e due giorni, per chi ha un appuntamento con la morte, sono tanti. Troppi. Fatali. Non bastano i giorni d’assenza: il fatto è che fa discorsi strani. Non basta ancora: parte quando Lazzaro è già morto, come sul limitare di una beffa già servita. Sempre così succede: quando serve è sempre lontano da casa. Era fuori casa ad Auswicthz, Hiroshima e Baghdad, lontano quando papà scoprì d’avere un cancro e mamma disperava. L’avevano avvisato: “Maestro: ci sono sei milioni di ebrei in quel campo”. E lui sta fermo due giorni, ch’è un ritardo premeditato. Perchè se nel frattempo Lazzaro muore, il buon cuore di Marta non tace, nonostante l’amicizia. Proprio in virtù di quell’amore amicale: “Signore, se Tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”. E’ anche troppo gentile Marta: forse, per familiarità, non osa oltre. Lui non si sfoga, non cerca giustificazioni: Dio non s’offende per le grida degli umani, talvolta ne va addirittura geloso. Quelle di Marta lo fanno addirittura risvegliare dal suo apparente ritardo: “Se credi, vedrai la gloria di Dio”. Due verbi disgraziati: credere è al presente. Vedere al futuro. Tra i due abita la speranza: accecante speranza, intramontabile, inimmaginabile, faticosa. Così ardita da farci invertire i verbi quaggiù: vogliamo vedere, poi crederemo. Forse. E così Dio è sempre sotto esame, nel migliore dei casi. Sotto accusa, nel maggiore dei casi. Marta Gli dice: “Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. Marta crede, Lazzaro risuscita. Non s’avvera il contrario: Lazzaro risuscita, Marta crede, Cristo è di parola. “Se credi, Marta, che vuoi che siano i quattro giorni che provocano odore, i due giorni di ritardo che causano fastidio, le urla della gente che rinfaccia l’assenza. Se credi, vedrai”. Marta e Gesù: clic.
Alla fine del 2004 è morta a Filadelfia una bambina di otto anni, Alexandra. Quattro anni prima, quando le era stato diagnosticato un cancro, le balenò in testa un sogno: allestire un baracchino per vendere limonate e raccogliere fondi alla ricerca per i bambini colpiti dalla sua stessa malattia. La mamma, col sorriso triste, le disse che sarebbe stato difficile raccogliere anche 50 centesimi per volta. Lei rispose: “Non m’interessa, io ci provo” Il 12 giugno 2004 era riuscita a mobilitare per la causa il suo paese e, a catena, l’intera America, il Canada e la Frangia. Oggi i chioschi delle limonate di Alex si sono moltiplicati in tutto il mondo e sono divenuti un punto d’incontro e di solidarietà.
La porta fuori dalla porta e si confida: “Io sono la risurrezione e la vita.” Poi piange a dirotto: come me, come te, come le creature affaticate. Lazzaro, “vieni fuori!”. A Lazzaro ma anche a me: “Vieni fuori!”. Svegliati, muoviti, reagisci, insorgi scrolla la menzogna, datti da fare. Smettila di morire, di rassegnarti, di piangere. Di soffocarti, di strapazzarti, di deriderti. Di frustrarti, di umiliarti, di stare a terra. “Vieni fuori!”. Eccolo Lazzaro, evviva la Vita: se credi, Marta, vedrai. Promesso e mantenuto. Da anni, da secoli, dagli inizi: nonostante qualcuno si rattrappisca ancor prima di morire, quasi a far le prove per le misure della bara.