A Pescarenico – «una terricciola, sulla riva sinistra dell’Adda, o vogliam dire del lago, poco discosto dal ponte: un gruppetto di case, abitate la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli e di reti tese ad asciugare» (A. Manzoni) – c’era il convento dei Cappuccini di Fra Cristoforo e Fra Galdino, due tra i personaggi più delicati de “I Promessi Sposi”. Da questo paesino, nelle prossimità della foce del Bione, s’allontanerà Lucia per fuggire alle mire di don Rodrigo. E sarà «Addio monti sorgenti dall’acque ed elevati al cielo, cime inuguali note a chi è cresciuto tra voi». Pescarenico, terra di partenze, d’orazioni e di ritorni per Renzo e Lucia. E per i loro reconditi pensieri d’amore.
Da Pescarenico, secoli dopo, riparte Lorenzo: stessa piazzetta, medesimo trasporto d’amore, identica passione. Con Giuditta, l’altra faccia gemella di Lucia: la donna del riscatto, la forza dell’amore, l’inaspettato di una risurrezione. Per anni Lorenzo ha vissuto dentro il ventre di una patria galera – il carcere Due Palazzi di Padova – e ha scontato la sua pena: la difficoltà degli inizi, la forza contagiosa del bene, l’incontro col Cristo dei Vangeli e la figura di qualche suo testimone. Eppoi il lavoro presso la Cooperativa Giotto che restituisce dignità, l’affetto che ricuce le trame sfilacciate del cuore, il desiderio d’essere uomo di sogni, d’aspirazioni e di giorni migliori. Su tutto, l’incontro con Giuditta: ci sono giorni in carcere in cui ci si addormenta con mille “perchè” cuciti addosso. Talvolta capita che al mattino si possa trovare una risposta a qualcuno di quegli interrogativi. E la risposta di Lorenzo è stata lei: l’occhio che s’incunea oltre la crosta del male e dell’illegalità, lo sguardo che sospetta la bontà dentro quella storia ferita e disillusa, l’amabile presenza di chi avverte che il cuore di chi sbaglia batte degli stessi battiti di tutti gli altri cuori dell’umanità.
Lorenzo – ch’è poi la medesima assonanza di Renzo di manzoniana memoria – ieri ha sposato Giuditta, nella chiesetta di Pescarenico (LC). Da lì Lucia partì per sfuggire alle grinfie di Rodrigo. Da lì Lorenzo ripartirà – stavolta non più solo ma in compagnia di un amore – per sfuggire per sempre alle grinfie della menzogna, del male e dei suoi mille tentacoli: «Dov’è o morte la tua vittoria, dov’è, morte, il tuo pungiglione?». Ripartirà abbracciato a lei e a coloro che in questi anni gli sono stati compagni, confidenti e maestri. E in questa ripartenza ci sta tutto il senso di una rieducazione che stavolta pare proprio riuscita: a scommettere sull’uomo sovente si resta bruciati, ma molto spesso si trova allegrezza e senso compiuto. Sopratutto quando come alleato agganci la forza straordinaria dell’amore che riesce laddove la legge e la giustizia il più delle volte fallisce: «E’ un errore giudicare l’uomo come fate – scrisse Dostoevskij -. Non c’è amore in voi, ma soltanto un severo senso della giustizia; perciò siete ingiusto». La legge senza l’amore partorisce mostri, la legge imbevuta d’amore restituisce al mondo la bellezza di un uomo riconciliato con se stesso prima di tutto. Eppoi con il suo Dio e i suoi fratelli.
Era di Pescarenico anche il pesciaiolo che porterà ad Agnese e Lucia notizie del loro paese natale nell’epoca del loro rifugio a Monza. Forse da quella piazzetta partirà oggi una buona notizia anche per tanti altri uomini che nella vita hanno fallito, le cui storie hanno deragliato, la cui speranza è andata complicandosi. Il matrimonio di Lorenzo e Giuditta narrerà al mondo degli erranti che nessun uomo è mai perduto se c’è qualcuno che si china sulle sue ferite e l’aiuta a riprendersi in mano l’esistenza. E che nessuna cella è mai così distante da impedire a Dio di poterci entrare ed illuminarla col suo volto d’Artista. Magari nascosto dietro le sembianze di un’inaspettata storia d’amore.
(da Il Mattino di Padova, 30 marzo 2014)