pioggia

Nude, scarne, essenziali. Persino rachitiche nella loro magrezza, eppur frastornanti nella loro eco: finanche imbarazzanti per la quasi impossibilità d’essere come loro. Spogliate di tutto, senza un filo di filosofia addosso, così, come piace a Lui, forgiatore di personalità giganti: “Amate. Punto e a capo” (liturgia della VII^ domenica del tempo ordinario) Non è l’imperativo che stordisce: ci sono degli imperativi che nella Scrittura danno la vita e accendono la sequela, spandono irragionevole fascino e attraggono per la loro possenza di ideali. Non infastidisce quell’imperativo, per l’appunto: ma l’oggetto al quale addita quel verbo col punto esclamativo: chi vi schiaffeggia, chi ti è acerrimo nemico, colui al quale nemmeno un cenno di saluto vorresti mai porgere. “Amate!”, come fosse facile: quasi fosse la cosa più naturale abbracciare chi ferisce, perdonare chi ti ammazza – nel fisico e nell’anima -, carezzare storie infastidite e putride di astio. Come fosse semplice essere come Iddio: perfetti. O come le colombe dei Vangeli: semplici e puri.
Eppur passa qui – per coloro che a differenza mia ne saranno capaci – la strettoia che porta al Cielo: un pertugio ostico, quasi invalicabile, così stretto da doversi restringere non solo la pancia ma anche tutto il resto pur di tentare di passare: i pensieri e le idee, le supposizioni e le certezze, le convinzioni e le cose indubitabili. Io, il io mondo, la mia storia, le mie piccole passioni: la mia ferrea certezza d’essere sempre e solo l’uomo giusto, al momento giusto, con le persone giuste. D’altronde per approssimarsi alla santità bisogna mirare alla divinità. Occorrerebbe esser capaci d’amara quel Dio ch’è veramente Iddio, quel “fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”. Un giorno Lo ficcheranno sul legno di un Croce l’Uomo che ebbe l’ardire di far rassomigliare l’amore per i nemici con l’odio per se stessi; Colui che sembrò costruire dei semplici paradossi tanto per far complicare il pensiero della gente e invece ci ficcò dentro la chiave per vincere la serratura del Cielo. Gli daranno una Croce, e su quella Croce Lui non s’arresterà: fino in punto di morte una dolcezza di pensiero è sempre riservata, nel cantuccio della memoria, per chi Gli è stato nemico: perchè non sapeva quello che diceva, perchè non sapeva quello che andava facendo, perchè non sapeva forse d’essere lui vittima di se stesso nel momento in cui dava voce al male.

C’era un grande sconforto stamattina a lezione. Ma una luce c’era: una breve e inaspettata conversazione con Jan Bool mentre attraversavamo il freddo e stretto Langebrugsteeg, e poi aspettando il tram. Jan chiedeva con amarezza: cosa spinge l’uomo a distruggere gli altri? E io: gli uomini, dici – ma ricordati che sei un uomo anche tu. E inaspettatamente, quel testardo, brusco Jan era pronto a darmi ragione. Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi, continuavo a predicare; e non vedo nessun’altra soluzione, veramente non ne vedo nessun’altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappar via il marciume. Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza prima aver fatto la nostra parte dentro di noi. E’ l’unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove” (E. Hillesum)

Chi odia è infelice. Le patrie galere sono insudiciate dell’odio umano: “In fondo io non credo affatto nelle “cosidette persone malvagie”. Vorrei poter raggiungere le paure di quell’uomo e scoprirne la causa, vorrei ricacciarlo nei suoi territori interiori (…) è l’unica cosa che possiamo fare di questi tempi” (E. Hillesum, Diario). Eppur servirebbe forse un nemico accanto a ciascuno per tentare l’arditezza della salvezza: il nostro nemico è anche il nostro salvatore. E’ lui che vede chiaro cosa stride dentro di me, qual’è la lunga lista delle mie fintaggini, il motivo del mio fannulloso fingere. E facendomi da specchio, m’innervosisce a tal punto da farmi sentire nudo, spoglio, rachitico di fronte a Iddio. Un nemico a testa perchè tutti possano ricordarsi come si fa a vincere l’inimicizia: è dai tempi di Cristo – anzi, più addietro, sin dai tempi del Giardino dell’Eden – che la vittoria del carnefice è completa quando l’odio che lo ama contagia anche la vittima. Cristo lo seppe e vinse Pilato, ridusse elegantemente al nulla scribi, farisei e dottori vari. Scosse l’anima del centurione sotto la croce, perdonò l’astio di chi Gli parlò con lance, frecce e spugne d’aceto. Ruppe gli argini scavando tra Lui e loro l’amicizia tenera col buon Ladrone. Non lasciò che il nemico gl’invadesse il suo cuore con l’inimicizia dell’infelicità. E per questo vinse anche il tradimento di Giuda: lasciò libero l’uomo di baciarlo per poi venderlo. Libero d’essere irriso e deriso da chi aveva amato d’un amore folle, inimitabile.
Alle sue parole non credettero in tanti; ancor oggi molti – tra i quali me scrivente – le ripetono ma non le seguono. Pure c’arrabbiamo perchè il mondo va storto e smorto: “Amate. Punto e a capo”. Qualcuno ci riesce e lascia il mondo più bello di come l’ha trovato: più umano, più amabile, più vivibile. Lascia l’uomo nell’imbarazzo più sparuto: perchè tutto ciò non è impossibile per chi, d’amor posseduto, vince la bestialità con i gesti folli dell’amore bambino.

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