Un giorno, un uomo non vedente stava seduto sui gradini di un edificio con
un cappello ai suoi piedi ed un cartello recante la scritta: "Sono cieco, aiutatemi per favore".
Un pubblicitario che passeggiava lì vicino si fermò e notò che aveva solo pochi
centesimi nel suo cappello. Si chinò e versò altre monete, poi, senza chiedere
il permesso dell’uomo, prese il cartello, lo girò e scrisse un’altra frase. Quello
stesso pomeriggio il pubblicitario tornò dal non vedente e notò che il suo cappello
era pieno di monete e banconote. Il non vedente riconobbe il passo dell’uomo:
chiese se non fosse stato lui ad aver riscritto il suo cartello e cosa avesse
scritto. Il pubblicitario rispose: "Niente
che non fosse vero! Ho solo riscritto il tuo in maniera diversa",
sorrise e andò via. Il non vedente non seppe mai che ora sul suo cartello c’era
scritto: "Oggi è primavera ed io non
la posso vedere". Cambia la tua strategia quando le cose non vanno
bene e vedrai che sarà per il meglio.
Dopo
giorni di cammino, arriva una sosta tecnica. Ai piedi del Sinai, monte dal nome
divenuto celebre, il popolo d’Israele s’arresta. A salire sulla vetta infuocata
è il loro condottiero inesausto, il Mosè profeta per conto Terzi. Tanto deserto
è alle spalle, tanta aridità si profila all’orizzonte, ma a metà strada si fa
il punto della situazione. Sono di una concisione tutta celeste le parole di
Dio: "Voi stessi avete visto ciò che io
ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali d’aquile e vi ho fatti
venire fino a me" (Es 19,4). Cioè: state vedendo cosa succede nel deserto.
Siete entrati che sembravate un’accozzaglia di straccioni e ora, purificati
dalla sofferenza, state divenendo mia proprietà. E dopo il riassunto delle
puntate precedenti, formula la sua proposta. Con un’eleganza tutta sua: "Ora, se darete ascolto alla mia voce e
custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra
tutti i popoli" (Es 19,5). Non servono commenti. Basta l’urto divino dei
verbi: se vorrete e se custodirete, voi sarete! Cioè: esisterete,
v’innalzerete, crescerete. Sarete miei! Forse succede anche a te, come a me e
al pastore Mosè, di fermarti ogni tanto e di chiederti: ma dove sto andando,
che faccio della mia vita, chi mi può riempire il cuore? Posso realizzare
questi sogni che ho dentro, c’è qualcuno che lassù mi ama? Che futuro ho davanti? Capita di
fermarsi e interrogarsi: per caduta, per costrizione, per allenamento. E,
condotto nel deserto, è come se Dio ti dicesse: "Pronto?! Non ti sei ancora accorto di nulla? Non avverti nulla di
strano? Non ti sei reso conto che dietro certi incontri, certi avvenimenti,
certe tristezze, certe gioie… Che dietro quell’incrocio, quel volto, quella
spina c’era la mia mano?" Sai, ogni tanto rischiamo di sentirci
onnipotenti, avvertiamo il sogno di crescere da soli, di mostrarci adulti.
Senz’accorgerci che se siamo arrivati qui è perché abbiamo viaggiato in "carrozze
di prima classe" in testa treno. Che nella Scrittura Sacra s’identificano con
le ali delle aquile: "Voi stessi avete
visto come vi ho sollevati su ali d’aquile". Sei arrivato perché Qualcuno
t’ha accompagnato. Cresciuto perché addomesticato. Maturato perché fatto
maturare. Innalzato perché svegliato. Arriva per tutti l’attimo in cui Dio
presenta il conto. Non è forma di umano ricatto: si chiama "operazione
rilancio". Quasi a dire: se ci stai, son disposto ad offrire di più! Ho visto
cacciatori emozionarsi al passaggio di un’aquila, volti di fotografi
ammorbiditi di lacrime, fucili caricati che si abbassavano. L’aquila è eleganza
e fierezza, orgoglio e sicurezza, sorpresa e tenerezza. L’aquila non prende i
suoi piccoli tra gli artigli: gli artigli servono a chi ha paura che il
pericolo venga dall’alto. Ma l’aquila abita gli spazi più alti: non li teme.
Ecco, allora, che li sistema sulle sue ali. Il popolo d’Israele, straccione per
nascita e per costituzione spirituale, fatto salire sulle ali di Dio per
imparare a volare. Lassù, oltre le traiettorie umane, le sillabe del Sinai
sembrano agganciarsi a quelle del Geremia profeta giovane: "Ti ho amato di un amore eterno, per questo ti ho attratto con la mia
bontà" (Ger 31,3). Qualcuno s’azzarda e traduce: "ti ho travolto con la mia
tenerezza". Insomma: le ali proteggono ma anche sollecitano. Nel miglior dei
casi pro-vocano. Cioè chiamano fuori. Nemmeno l’aquila porta i suoi piccoli per
sempre sulle ali: fa sperimentare la vertigine delle altezze perché imparino a
librarsi in volo. Stessa tecnica per Dio: ci attira per spintonarci fuori.
Protegge ma lancia allo sbaraglio. Rimane presente lasciandoci soli. Ci
sostiene togliendoci gli appoggi. Insegna a volare lanciandoci nel vuoto.
Insegna a
volare perché chi impara a volare tenga poi lezioni di volo in alta quota.
Perché la filosofia non ammette cadute: "gratuitamente
avete ricevuto, gratuitamente date" (Mt 10,8). Gratis avete imparato a
volare, gratis insegnerete agli altri a volare. Tra la folla convoca dodici
istruttori di volo: Simone (chiamato Pietro) e Andrea suo fratello, Giacomo di
Zebedeo e il fratello Giovanni, Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo, Giacomo
di Alfeo e Taddeo, Simone Cananeo e Giuda Iscariota. Chiamati perché le folle,
ai suoi occhi di delicato amante, apparivano "stanche e sfinite come pecore senza pastore" (Mt 9,36). Lui
possedeva una capacità ardua da imitare: non vedeva la folla. Riconosceva i
volti uno ad uno. Sapeva personalizzarli. Per Lui uno più uno non faceva mai
due. Ma uno più grande. E s’accorge
subito che sono senza pastori. Eppure era popolo rinomato per i suoi pastori.
Come a dire: ci sono i pastori, ma manca chi fa il pastore. Ma parla di ieri o
di oggi? Forse che anche oggi ci sono i pastori ma manca l’arte del pastore?
Cioè conta più l’irrigidimento che la creatività? Il bastone dell’autorità più
che la carezza dell’autorevolezza? La tradizione a scapito dell’avventura del
volo? Il servilismo dell’obbedienza? Il "si è sempre fatto così" a scapito del
"tentiamo l’avventura assieme"? La stanchezza prevale sulla fantasia? Il management sulla pastorale? L’abitudine
sulla passione? Il bamboleggiamento
sulla severità? Il rattoppo sul ricamo? Il 5 per mille sull’anima che invoca
aiuto? Non mancano i funzionari: manca la funzione del pastore. E il gregge
l’avverte. Si dis-innamora, si s-fiducia, si dimette. Impazzisce e sogna di
diventare lui pastore: s’appropria del bastone, imita la voce, s’accolla la
responsabilità della distruzione. E così nasce un gregge di pastori senza
pecore: a che serve? Cristo non contava le folle, sommava i volti. Era incapace
di usare le tabelline: sapeva fare solo uno più uno. E più uno ancora.
Ma i conti
poi tornavano sempre! Oggi la matematica sembra condannarci!
Ho rispolverato vecchi appunti di liceo. In calce ad un
foglio annotai una frase di Kierkegaard. Bestiale nella sua durezza: "Più osservo e più mi rendo conto che la
colpa della cristianità è questa: invece di quel che il Nuovo Testamento
intende per cristianesimo, ha inventato il giocare al cristianesimo con tutte
le risorse che la fantasia umana può escogitare". E conclude: "Hai presente quando alle volte si
rimprovera ad un bambino di stare troppo a giocare. Eppure, al massimo, è
questione di un anno o due. E il bambino è uno soltanto. Ma che per secoli e da
milioni di persone si sia giocato al cristianesimo, questo è spaventoso…" (L’inquietudine della fede).
Ri-pensa a dov’eravamo
all’alba: sistemati su ali d’aquila. Voltati attorno adesso: guarda come siamo
ridotti!
Siamo geniali noi uomini,
vero?