Un preludio che a qualcuno suona come una boccata d’ossigeno; ad altri, forse, come una fastidiosa soffiata di vento contrario. Una cosa rimane però certa, al netto di qualsiasi fraintendimento. Parola di papa Francesco: “il nostro sogno vola alto, oppure siamo mediocri e ci accontentiamo delle nostre programmazioni apostoliche di laboratorio?” Che abbia spiato dentro qualche stanza parrocchiale o qualche ufficio di pastorale diocesana? Più probabile che da uomo capace e tutt’altro che ingenuo non esiti a riconoscere ciò che affligge maggiormente le nostre realtà parrocchiali: la fatica di trasmettere la passione a chi l’ha persa già da un pezzo. Tentare di far capire che quel passaggio fantastico – o quella proposta sublime che sognavamo fosse quella giusta – che li aveva fatti vincere mille volte non si può ripetere all’infinito. Insomma, potremmo dire che questo Papa non appoggia affatto una certa pastorale da “accanimento terapeutico” che ancora viaggia travestita da novità per certi ambienti parrocchiali, che ancora sopravvive rantolando qua e là. Forse che per troppo tempo la scelta è stata sempre e solo tra due possibilità: tra un atteggiamento difensivo e un atteggiamento offensivo. Dimenticando appieno la terza, forse quella più audace ed evangelica: il prendere l’iniziativa, l’aprire una via al Vangelo nelle condizioni che di tempo in tempo appaiono assai diverse e mutevoli. Aprire le finestre per rigenerare l’aria viziata dal tempo.
Non basta la “tratta delle novizie” e nemmeno i seminari che corrono il rischio di generare “mostri” (capita sempre nelle altre diocesi, ndr) per convertire i cuori a Cristo. Si tratta di risvegliare quelle braci di fuoco che se ne stanno sepolte sotto una coltre di cenere, quell’entusiasmo degli inizi – non privo di complicazioni e diatribe – ma capace di speranza e di futuro nelle vene della storia. Al beato Giovanni XXIII si attribuisce la celebre frase: “non siamo al mondo per custodire un museo, ma per coltivare un giardino fiorito”. Il museo è statico, perfetto, quasi noioso; il giardino è custodia attiva e passione quotidiana, rischio di intemperie e gusto della bellezza. Nella chiesa-museo sono necessari i cardinali e i custodi; nella chiesa-giardino bastano i giardinieri, ossia uomini e donne che affrontino con coraggio la vita, confidando nella presenza del Signore. Di Dio e dei suoi misteri si ama spesso parlarne come di ciò che sta all’origine, al tempo passato: è trattare Dio come fosse un oggetto da mausoleo. Quando invece Dio intesse rapporti con il presente dell’uomo – il mistero del Natale – con una promessa di futuro che è già in atto. E’ la presenza di un Dio “che ci sorprende sempre. E se il Dio delle sorprese non è al centro, ci si disorienta”. La sorpresa di Dio: l’esatto contrario dell’abitudine di Dio e, forse, anche di una certa immagine di Dio pubblicizzata ad oltranza.
Papa Francesco pungola e strattona, addita e imbarazza, scompiglia e riordina. Non è un rivoluzionario, è semplicemente un innamorato fedele: di quelli che sanno che non c’è mai fedeltà senza un margine di rischio. Lo immagino come il giullare di corte di un tempo: quando in una corte la situazione si bloccava, si chiamava il giullare. Non era un’offesa, bensì un incarico ufficiale: era colui che godeva di piena libertà per dire cose spiacevoli e smuovere critiche fastidiose. Nella storia della Chiesa qualche giullare è diventato santo: nel suo fastidio riconobbero a posteriori un anticipo di futuro. Un Papa giullare non è un Papa ciarlatano ma un Papa con il timone della nave saldo tra le mani. Un condottiero che, per amore della sua sposa, ogni tanto la supplica di cambiarsi il vestito e di proporsi in maniera migliore. Non è civetteria, è che la forma è sempre anche uno specchio del contenuto.
(da Il Mattino di Padova, 5 gennaio 2014)