Tomohiro
Kato, 25 anni, giapponese. Un signor nessuno che, nel batter di un paio d’ore
mattiniere, sembra essere diventato l’eroe mondiale che gioca con la morte.
Venti messaggi postati su internet e una promessa-minaccia: schiantarsi sulla
folla con un furgone, scendere e accoltellare un po’ di passanti. Detto e
fatto: bottino dell’impresa: diciassette accoltellati, sette morti. A fermarlo
nessuno, a leggere i messaggi e a filmarlo in troppi!
Nel paese
del Sol Levante – all’avanguardia anche nell’informatizzare la morte – s’erano
già pianificati i "suicidi di massa": gruppi di adolescenti si davano
appuntamento su internet per trovarsi e dire addio alla vita assieme. Gesta estreme, che qualcuno avvicina alla
follia, ma che s’annoverano nell’archivio della nostra strana umanità. Perché
tutta questa voglia di morte nell’aria? E’ proprio necessario – prendendo a
prestito le parole del Vangelo della Passione – "che qualcuno muoia per il popolo?" Captando l’eco di questo
silenzio funebre, mi convinco sempre più della necessità di un’educazione alla
vita nella mia generazione. E la vita chiede un’educazione alla pazienza, alla
costanza, al progetto. Che passa attraverso l’alfabeto della bellezza. "Ridateci Lippi" – ha titolato
stupidamente e scontatamente Tuttosport dopo la sconfitta dell’Italia contro
l’Olanda. Stupidamente: perché trasmette ai suoi giovani lettori la convinzione
errata che il minimo sbaglio cancella dalla tua vita le tracce di mille cose
belle partorite in sudate settimane di lavoro. Scontatamente: perché erano mesi
che quel titolo giaceva nel cassetto della redazione. E, aspettandolo, non ha
prodotto l’effetto desiderato. Come dire: al minimo sbaglio, vattene! Alla
minima sofferenza, vattene! Che sia lo stadio del calcio o lo stadio della
vita, poco importa: vattene! Salvo poi tessere elogi e fiumi di vacue nullità
per chi (se avete il coraggio chiamatelo voi "sportivo"), davanti ad un
giudice, si giustifica dicendo di non essersi accorto di avere imbarcato tre
transessuali. Come se il passare una sera con tre prostitute donne, mentre la
propria fidanzata è incinta, fosse una cosa normale. Peccato che lo sport stia
tristemente smarrendo la poesia esistenziale. La sua capacità di far innamorare
alla vita. Alla forza e al coraggio, all’astuzia e alla resistenza. Alla
passione costruita con tutti i sacrifici. La morte della poesia ha decretato il
suicidio dell’anima. Che muore di sete, di bellezza, di stupore.
Quello di Tomohiro
Kato rimarrà un "omicidio volontario
premeditato senza movente". Senza movente: e questo dice "buio pesto". Avrà
ucciso per gioco? Per provare un’emozione? Per un attimo di gloria? Domande che
non saziano la voglia di vita! Mario Lodoli scrisse: "Vi prego di credermi: a me sembra sia in corso un genocidio di cui
pochi si stanno rendendo conto (…) Non sono un apocalittico, sono semplicemente
un testimone quotidiano di una tragedia immensa".
Un giorno
intravidi sulla suola delle All Stars
di un ragazza una frase che mi fece imbestialire l’anima: "Vivi questo giorno come se fosse l’ultimo della tua vita".
Davvero? Ma se sapessimo che questo è veramente l’ultimo giorno, l’avremmo
vissuto così? Tristi, svogliati e nervosi. Sfiduciati, pallidi e malinconici.
Davvero c’arrabbieremmo perché l’Italia perde? Per fortuna non ci credo! Perché
son certo che se questo fosse veramente l’ultimo giorno non avremmo questi pensieri
in testa. Meglio, allora, decidersi tra due possibilità: o smetterla di
scrivere porcate esistenziali o
vivere appieno la nostra esistenza.
La durata
non dipende certo da noi. La qualità sì, però.