La tragedia di Prato: annunciata ed evitabile perché tutti sapevano, ma nessuno ha fatto nulla, come spesso succede per la mafia.
Purtroppo, spesso è passato il messaggio che i costi bassi dei prodotti siano esclusivamente un problema dei commercianti italiani, quindi – ideologicamente – un problema piccolo-borghese che raccoglie poco l’interesse dei media, così come delle pubbliche amministrazioni.
A volte, era addirittura rinfacciato l’alto costo ai commercianti italiani, quasi che esso fosse dovuto ad una sete di guadagno o a taccagneria. Tutto ciò cozza con il semplice buon senso, oltre che con l’esperienza della concorrenza. Se davvero l’unica differenza tra prodotti uguali fosse il guadagno del commerciante, ben presto il prodotto che ha un guadagno inferiore per il commerciante avrebbe la meglio, magari sfiorando il monopolio. Perché se è possibile ottenere un prodotto di eguale qualità, ad un costo inferiore, esso sarà evidentemente preferito.
Il problema sorge però quando è evidente che non è la taccagneria la risposta alla differenza di prezzo bensì lo sfruttamento del lavoro, la mancanza di tutele legali e sindacali, la totale assenza di un salario minimo garantito, l’inottemperanza alle norme minime di sicurezza sul lavoro (a partire dalla garanzia di un minimo numero di ore di riposo) e condizioni lavorative generali che ledono la dignità degli uomini e delle donne che lavorano, oltre a metterne a repentaglio la personale incolumità. Com’è appunto accaduto a Prato.
Qualcuno sottolinea che non si tratta di schiavi ma di persone con grande dignità che vogliono uscire dalla miseria e per questo accettano orari lavorativi massacranti e paghe sproporzionate al lavoro richiesto. A questo, si aggiungono poi le condizioni extra-lavorative, vale a dire alloggiare il più delle volte nel luogo di lavoro stesso, in condizioni igienico-sanitarie disumane (parlare di comfort pare quanto mai fuori luogo!).
Sette i morti, sette operai, cinque uomini e due donne. Questa la sterile conta che segue alla tragedia.
Fatalità? Annunciata, come troppo spesso accade.
E ora, di fronte alle vittime, inizia il tam-tam che ribatte la solita questione: di chi è la colpa? Si poteva evitare? Perché non si è fatto nulla?
La zona di Prato rappresenta la sede del più grande agglomerato di lavoro nero in Europa. Una realtà sommersa, che però è sommersa solo in apparenza, perché in realtà è da ormai molto tempo sotto gli occhi di tutti. Una così industriosa produzione non può passare inosservata, a meno che non si voglia che passi inosservata.
Di chi la colpa? Dei politici, dicono in tanti.
Di tutti, mi viene da dire. Perché è troppo comodo dare sempre la colpa “in alto”, ad una pubblica amministrazione che, il più delle volte, rischia di essere un’entità estranea, quasi astratta, totalmente al di fuori della realtà quotidiana. Anche se, in teoria, dovrebbe essere tutt’altro. Ma, di fatto, così è.
Tuttavia, non esistono solo i politici: conseguentemente, non è possibile alimentare lo scaricabarile delle “colpe del giorno dopo”. Dopo: dopo la tragedia, dopo il dolore, dopo la morte. Dopo che è successo quanto non avrebbe dovuto succedere. Dopo tutto ciò, non è possibile ritenere ancora una volta sempre gli altri i colpevoli.
Siamo colpevoli tutti. Perché ognuno di noi è un ingranaggio che alimenta questo meccanismo perverso, che porta a tragedie come queste. Siamo colpevoli, con le nostre scelte quotidiane, con i nostri sì e no, con i nostri acquisti, con le nostre priorità e le nostre inevitabili – anche se raramente calcolate – conseguenze. Comprare un paio di scarpe cinesi che costa la metà di un normale paio di scarpe italiane fa piacere a qualunque donna, anche perché il ragionamento è: a quel prezzo, io invece di comprarne un paio, ne compro due. Ma il ragionamento è carente, perché si basa unicamente sul prezzo, senza considerare altri aspetti importanti, primo fra tutti la durata. Tralasciando la qualità in se stessa, la durata è una “sotto caratteristica” fondamentale: infatti, se il mio paio di scarpe pagato la metà mi dura effettivamente meno della metà, io non ho risparmiato nulla, al massimo ho frazionato la spesa; ma se mi sono reso conto che prendere le scarpe a metà prezzo significa averle che durano la metà, è facile che quelle scarpe di poco prezzo saranno sostituite molto probabilmente (sulla base di un processo psicologico molto comune) non da un paio di scarpe dello stesso prezzo, ma da uno che costerà almeno qualcosa di più. Così, invece di prendere un paio di scarpe di qualità che mi duri anni, ho preferito risparmiare al momento, ma ciò significherà dover poi comprare più paia di scarpe. Sarà vero risparmio? Ai posteri l’ardua sentenza.
Tralasciando le conseguenze unicamente economiche legate ai nostri acquisti, ci sono conseguenze etiche di cui possiamo disinteressarci solo per acquietare la nostra coscienza. Comprare un capo che mantiene bassi i costi sulla pelle delle persone legittima e incentiva quest’abitudine: perché se economicamente rende, questo aiuta la giustificazione di tale commercio, nonostante il prezzo da pagare per taluni (gli operai) sia una vita di stenti, miseria e diritti calpestati.
Fino a quando? Fino alla prossima strage.
Nella speranza che, oltre allo sbigottimento, seguano almeno per una volta i fatti e ciascuno si renda conto di essere un anello importante nell’immenso network della società civile, di cui ciascuno fa parte e a cui ciascuno può dare il proprio prezioso contributo. Oppure no.
Alcune fonti: