Siamo stanchi di attendere, Signore. Ogni anno la stessa storia: “Alzate il vostro capo e contemplate: la vostra liberazione è vicina”. Eppure anche l’anno che è appena passato sembra essere stato in piena regola con quello che l’ha preceduto (non oso ancora dire “con quello che lo seguirà”). Il Magnificat di tua Madre è ancora lì, promessa tutta ancora da realizzare: i potenti sono saldi sui loro troni e gli umili marciscono nelle loro catapecchie di cartone bagnato, i ricchi hanno ancora le mani piene mentre gli affamati sono a corto di speranza, Israele è ancora una terra/non terra mentre i suoi nemici non cessano di esultare. Verrebbe da chiederLe: “dove hai visto quel film, Maria?”. Sono millenni che gli uomini e le donne di periferia invocano da Te un aiuto: le loro gole sono rinsecchite, i loro occhi sono gonfi nel perpetuo sforzo di vederTi, la loro schiena si è incurvata a furia di stare con i sandali ai piedi e la cintura ai fianchi. Sono sprofondati dentro gli abissi del mare, inghiottiti nel letto di fiumi furiosi, raggrinziti sulle coste della disperazione. Li hanno trovati morti abbracciati: morti come sono nati, tenendosi per mano per la paura della solitudine del vivere e del morire. Eppure era gente che in Te stavolta credeva per davvero: “sarà la volta buona” si confidarono l’un l’altro sulla soglia di casa appena l’Avvento scorso. Invece oggi sono ancor lì, sulla stessa soglia, a constatare che nulla è ancora cambiato, che tutto è come prima: tremendamente insopportabile. Quaggiù ogni Avvento che passa sembra quasi una speranza in meno invece che una certezza in più. E tante domande cucite addosso: credo, non credo, perchè dovrei credere?
Verrebbe voglia di arrendersi anche stavolta. E’ ormai troppa la gente che bussa alla porta per chiederti sempre la stessa identica cosa: “perchè continuare a sperare? Perchè continuare ad (af)fidarci di Te, Maestro?” – eccola puntuale la bestemmia/invocazione più buffa –. Domanda curiosa, umana, strafottente eppure confidenziale, quasi di figliolanza estrema. Perchè c’è un sospetto che ancora ci pungola, l’ultimo forse rimasto: poi avremmo piena ragione noi. Il sospetto di quelle tre parole incastonate nel Vangelo di questa domenica: “non si accorsero di nulla” (liturgia della I^ domenica di Avvento). Che è come rinfacciare all’uomo la sua distrazione, come ai tempi di Noè, cioè nella notte dei tempi. Distratti da mille informazioni sbagliate (da un’informazione che non tiene in forma), dall’ansia di svelare i tempi di Dio, dall’angoscia di una festa che tarda ad arrivare, dalla mestizia di una promessa difficile da aspettare ancora per un solo attimo. Distratti quando la Promessa ci è passata così vicino da lambire il nostro sguardo che stava puntando altrove. Perchè Dio è l’altrove che non t’aspetti: sempre un passo oltre, sempre un lineamento diverso, sempre un Mistero ineffabile da contemplarsi. Per distrazione ci si complica la vita: l’amante rischia di perdere l’amato, il viaggiatore rischia di perdere il treno, il poeta rischia di perdere l’ispirazione. Basta poco e “non si accorsero” di quel volto, di quell’incontro, di quella storia. Di quella sorpresa. Eppure Dio era lì, nascosto per accendere la curiosità, apparentemente lontano per ingelosire il cuore, volutamente diverso per disabituare l’uomo al “già visto”. Maria camminava verso la casa di Elisabetta e Cristo era già nel grembo: nessuno s’accorse, eppure al suo passaggio lambiva i passi di mille altri viandanti. Verso Betlemme quella notte bastava spostare un mantello, un asino, un nonnulla e ci sarebbe stato posto per loro. Invece nessuno s’accorse che assieme a quei due – Giuseppe e Maria – c’era anche Cristo nascente. I Vangeli sono lì apposta per tramandare i disastri della distrazione: “non si accorsero”. Eppure Lui c’era, dentro la ferialità meno sospettata, dentro la storia più insopportabile, dentro il mesto vivere dell’uomo comune. C’era/c’è ma non si accorsero. C’erano occhi distratti quel giorno. Oggi sono i miei occi ad essere distratti: troppi piccoli dettagli mi sfuggono. Sono i piccoli dettagli che ospitano Dio: mi sfuggono e me Lo rubano, non vedo più Lui.
«Uno scultore una volta creò una bellissima statua di legno, che venne apprezzata moltissimo da tutti quale autentica opera d’arte. Anche il suo sovrano, il principe Li, era colmo di ammirazione e gli chiese il segreto della sua arte. Lo scultore rispose: “come potrei io, uomo semplice e vostro servitore, avere un segreto per voi? Non ho alcun segreto né la mia arte è speciale. Intendo tuttavia raccontare com’è nata la mia opera. Dopo essermi prefisso di creare una statua, mi sono accorto che in me c’erano troppa vanità e orgoglio. Mi sono quindi adoperato due interi giorni per liberarmi da questi peccati, finchè non ho creduto di essere puro. Ma a quel punto ho capito di essere spinto dall’invidia nei confronti di un collega; per altri due giorni mi sono prodigato e alla fine ho sconfitto la mia invidia. In seguito ho scoperto di desiderare troppo la vostra lode. Far sparire questo desiderio mi è costato un altro paio di giorni. Infine mi sono accorto di pensare a quanto denaro avrei potuto ricevere per la statua. Questa volta ho avuto bisogno di quattro giorni, ma da ultimo mi sono sentito libero e forte. Sono quindi andato nel bosco e quando ho visto un abete che mi è parso adatto, l’ho abbattuto, l’ho portato a casa e mi sono messo al lavoro».
(Etty Hillesum, Diario, Adelphi, Milano 2012, 40)
La vecchia catechista oggi riscalderà la solita minestra, con il fornellino del parroco: “Cos’è l’Avvento bambini? Quattro settimane di agitazione per attendere il Bambinello che sta arrivando” (non si sa se col FrecciaRossa, per posta prioritaria o co l’asino di zio Tanuccio, ndr). Va bene, maestra Gigliola: passi anche questa. Però stavolta abbi il coraggio di metterci la faccia, dopo una vita di stenti. Ricorda ai tuoi bambini anche il contrario: che anche Dio vive l’avvento. Sono migliaia di anni – dal primo Avvento della Craezione – che sta aspettando che l’uomo si decida di ritornare a Lui: anche Dio attende. Peccato che ci sia sempre qualcosa/qualcuno che ci distrae.