telefonataE’ una delle immagini più ammalianti di questi primi mesi di pontificato: il gesto che ha stregato il cuore della gente di periferia e che ha imbarazzato i potenti, o presunti tali, che abitano il centro della storia. Sono le telefonate di Papa Francesco: squilla il telefono e, dopo un comprensibile smarrimento, avverti d’essere protagonista di qualche attimo di confidenza capace di significare un’intera esistenza. Perchè dietro il gesto quotidiano e feriale di una semplice telefonata, c’è tutta la gioia di un Papa(‘) che anche solo per qualche attimo vuol farti toccare l’esultanza di sentirti importante. E’ la teologia feriale di questo Papa imbarazzante: con gesti umili e consueti, con una grammatica di estrema periferia e sguardi da innamorato navigato, con quel sorriso sbarazzino sul volto e quell’odore di frontiera addosso sta risvegliando nel cuore della storia la trama della storia più bella: quella che narra di un Dio che si è messo alla ricerca dell’uomo. Non di chissà quale uomo, ma di te/me, piccolo uomo confuso tra mille uomini, dentro le trame di una storia apparentemente banale e insignificante. Fino al giorno in cui, immerso nella mestizia del quotidiano, una telefonata giunge improvvisa, forse nemmeno immaginabile: quel “tu” della confidenza ti ricorda che non sei solo, che tra mille nomi scritti nelle anagrafi e altrettanti volti impressi nelle carte d’identità quell’Uomo si è ricordato di te, ha cercato te non qualche altro, ha detto “scusi, richiamo più tardi” perchè era la tua voce che voleva intercettare. E tu, sbigottito, ti chiedi il perchè di quella coincidenza: “in mezzo a migliaia di lettere, perchè proprio io?” E quel tono mansueto e amabile – tipico di chi possiede l’eleganza del cuore – ti fa capire che non esiste un “perchè” ma semplicemente c’era il desiderio di sentirti, di farti capire che qualcuno si è accorto che esisti, che la tua storia – talvolta maledettamente insopportabile -, in realtà è una storia adocchiata da Cristo. Squilla il telefono e tu capisci d’essere dentro ad una pagina di Vangelo, come quelle che da bambino la nonna ti narrava educandoti alla fede cristiana.
Francesco sta al centro, eppure la periferia gli è amica: caso strano tra tutti i potenti che, solitamente, amano scordarsi periodicamente dei margini delle loro terre. Oggi chi ha il potere parla una lingua astrusa, si esprime con un linguaggio in codice, usa parole che non parlano e immagini che non accendono. Si sono scordati della periferia e lei, silenziosa, ha strappato loro il linguaggio del cuore. Anche Francesco è un potente, un potente della razza più strana però: un potente che si è presentato nel silenzio assorto degli umili, che ha chinato il capo per essere benedetto, che ha scelto un carcere come prima chiesa di periferia da illuminare, che ha preso in mano questa vecchia sposa, la Chiesa per l’appunto, e s’è intestardito nel riportarla al suo primigenio splendore. Per farle questo “make up” ha allontanato vecchi amanti di qualche giorno, l’ha persuasa ad abbandonare perfide amicizie, l’ha convinta a scendere in strade polverose di borgate dimenticate. Tremano i vecchi amanti, bofonchiano quelli che erano “di casa”, subodorano gli avvoltoi delle passate stagioni. Non tiene ramazza ne scopa, tanto meno forche e badili: semplicemente si fa forte di una Parola conficcatagli nel cuore dallo Spirito. Una Parola che, per tenersi allenato nella pronuncia, lo obbliga felicemente ad alzare la cornetta, per qualche ora di ripetizione in zona periferia: laddove gli accenti stonati e le doppie sbagliate raccontano di uomini e donne felicemente sorpresi da un Dio che si è ricordato stranamente di loro. E capaci dell’annuncio più inaudito e familiare più bello: scoprire che quel vecchio Papa parla la lingua di tutti i giorni. Che è come dire: “davvero Dio è uno di noi”.

(da Il Mattino di Padova, 24 novembre 2013)

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