Averne le scatole piene e andarsene (liturgia della XXIV^ domenica del Tempo Ordinario). Meglio il futuro del presente: porci, ghiande, donne: evvai! Poi arriva la miseria e germoglia la nostalgia di casa. Storia nota, purtroppo, storia che ci fa commuovere invece che ribaltare, storia di un uomo e di un Dio che, nonostante tutto, si cercano. Il figlio è partito perché Dio ci lascia liberi, perché senza libertà non si danno quei movimenti autentici del cuore che Egli va cercando. Dio ti lascia partire. Sempre. Anche se il rischio di non rivederti mai più è grande. Ti lascia partire: poi si mette alla finestra. E quando ti vede in fondo al viale polveroso, si trasforma. Sei verbi da gustare al rallentatore. “Lo vide”. Il figlio è ancora lontano. Il figlio forse non intravede il Padre. Il figlio ha la testa bassa. Non importa: il padre già lo vede. Occhi che s’aprono. Occhi che cercano. Occhi che piangono.
“Si commosse”. Il tempo di vedere la sagoma di quel figlio nostalgio, e il cuore del Padre ha un sussulto: si commuove. Si commuove perché possiede un cuore di padre e uno di madre. Perché custodisce la severità e la tenerezza, il piglio severo e l’anima delicata. Si commuove perché la sua è una mani che accarezza. Mano che consola. Mano che nutre. Mano che incoraggia. Mano che dice: “Buonanotte”. Mano che aspetta. Mano protesa, mano che costruisce, mano che rialza, mano come di un padre!” Sei stato brigante? Alza gli occhi e guardalo: appena ti scorge da lontano, non solo si commuove, ma si mette a correre! Corre, anche se nel mondo orientale correre non è dignitoso per un anziano. Corre, perché l’altro che viene verso di lui, il giovane, correre non può, tanto la fame lo ha sfinito. Corre perché l’amore fa scattare dentro una molla che lo sblocca. Corre, come Zaccheo che s’aggrappa al pari di una scimmia sul sicomoro. Se ne infischia della formalità, appende la sua dignità sul naso della gente e corre. E correndo accorcia la distanza che lo separa dal suo bambino… Sì, anche oggi quello è suo figlio! Un Dio che corre: ma come fai a non commuoverti?
Questa notte ho fatto un sogno. Ho sognato che ho camminato sulla sabbia accompagnato dal Signore e sullo schermo della notte erano proiettati tutti i giorni della mia vita. Ho guardato indietro e ho visto che ad ogni giorno della mia vita, apparivano due orme sulla sabbia: una mia e una del Signore. Così sono andato avanti, finchè tutti i miei giorni si esaurirono. Allora mi fermai guardando indietro, notando che in certi punti c’era solo un’orma. Questi punti coincidevano con i giorni più difficili della mia vita. Ho domandato: “Signore, tu avevi detto che saresti stato con me in tutti i giorni della mia vita, ed io ho accettato di vivere con te. Perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti più difficili?” Ed il Signore rispose: “Figlio mio, io tiamo e ti dissi che sarei stato con te e che non ti avrei lasciato solo neppure un attimo. I giorni in cui tu hai visto solo un’orma sulla sabbia, sono stati i giorni in cui ti ho portato in braccio”.
E poi rovescia la sua umanità. L’ha visto da lontano, ha sentito il cuore scoppiare, s’è messo a correre e adesso “si getta al collo”. Si getta! Non s’appoggia, l’abbraccia, si posa. No: si getta! Sai perché? Perché Dio sa che, in fondo in fondo, siamo tutti malati di “coccolite”: abbiamo tutti bisogno di qualcuno che ci abbracci, che ci stringa fino al sorgere della luce, che ci guardi e ti dica “ti voglio bene”. Piccoli o grandi non importa: basta essere uomo per aver bisogno d’amore! Dio lo sa. E ti inchioda in un abbraccio! Ti fa piangere, perché abbracciandoti ti impedisce di inginocchiarti, t’impedisce di chiedere perdono. Delicatezza, sorpresa, amore! Ti porta in braccio Dio. Sai perch? Ti porta in braccio per poterti baciare! “Il Padre – sintetizza la penna di Luca evangelista – lo baciò”. Abbracciare è tanto. Baciare è di più. Dio punta al massimo. Indignarsi! Macchè! Rimproverarlo? Macchè! Insultarlo? Macchè! E allora baciamolo! Cristo bacia l’uomo: cioè guarda in faccia l’uomo, appoggia le sue labbra sulle sue, gli fa sentire il respiro, e il respiro diventa la sua voce! Lo bacia, perché il bacio è tutto. Il bacio racchiude tutto. Il bacio dice tutto: sto bene con te, ti amo, ti desidero, ti sono vicinissimo… Attento: ad una persona che baci non puoi dare del lei, devi dare del tu. Ad una persona che ti bacia, non puoi parlare con paura! Si dice che Dio tenga ogni persona per un filo. Bene, quando uno commette un errore un peccato, il filo si spezza. Allora Dio riannoda il filo. E così va a finire che più uno si allontana, più Dio se lo avvicina. Fino a baciarlo! L’ha baciato. E pensare che quel zingaro era convinto che il padre non ne volesse più saper di lui, dopo quella stupida avventura, che il padre non potesse più dei suoi colpi di testa. Invece si rende conto che il Padre non ne può più della sua assenza, non può più sopportare la sua lontananza (“Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo…”). L’unico “risarcimento danni” richiesto per il patrimonio sperperato in quella maniera è di non rifiutare i segni di un amore che non ne poteva più di aspettare.
Il padre aspetta, ma per il fratello quel figlio potrebbe morire. Non si rende conto che pure lui dovrebbe far ritorno ammettendo, finalmente, di avere parecchie cose da farsi perdonare. Sì. Farsi perdonare la sua regolarità senza slanci, il suo perbenismo indisponente, le sue sfacciate moine, la pretesa di essere figlio esemplare senza accettare… il figlio di suo padre. Farsi perdonare l’ubbidienza senza gioia, il lavoro interessato (interessato ad un miserabile capretto, l’atmosfera gelida che con la sua presenza crea nella casa. Farsi perdonare l’allergia alla festa e al perdono. Farsi perdonare che per la sorte del fratello non si è dato pensiero. Che per l’angoscia del padre – che ogni giorno se ne stava a spiare attraverso l’inferriata – non ha provato tenerezza. “Figlio… tutto ciò che è mio è tuo”. Proprio questo gli fa paura. Gli fa paura di “fare suo” il cuore di papà, il suo amore senza misura. Si trattasse di amministrare giustizia e castighi, non avrebbe difficoltà alcuna. Ma qui si tratta di prodigare. E rimane lì, piantato sulla soglia di casa.
Condannato ad invecchiare col pretesto del capretto. Che vale più d’un fratello.