Come delle muse ispiratrici, intriganti nella loro invereconda bellezza e avvolte in quella beltà ch’è tipica delle dimensioni sublimi. D’estate la montagna appare superba e intrigante, d’autunno si mostra nelle sue vesti colorate e frizzanti, d’inverno – seppur dormiente – lascia intravedere quel pizzico di mistero e di magia che favorisce le leggende, accende i sogni più arditi, dilata lo spazio dell’anima. In primavera rinascono le storie d’amore: ogni anno sembra di ricominciare da zero. Il loro mostrarsi e ritrarsi, concedersi e respingere, consolare e spaventare non è umana vanagloria: è lo stile della Bellezza quando rimane tale, capace anche di rispondere con un rifiuto – che altro non è se non un “farsi desiderare” ancora un po’ – alle armi dei corteggiatori. In tanti ne tentano le vette ardite, forse perchè ogni scalata è un po’ come una finestra che si apre su spazi vergini: oltre il clamore, oltre il rumore, oltre la banalità. Gli amanti delle montagne sono come delle talpe: ogni tanto escono per contemplare il mondo, per poi ritrarsi sotto la terra del quotidiano e continuare l’ardua sfida dell’esistenza. Con una sete d’infinito in più.
Le donne hanno il fiuto degli appuntamenti e per essi si preparano: dal semplice stile con cui si presenta lo spasimante, faranno la proiezione e il calcolo dei loro pensieri. Così è della montagna: c’è chi la rispetta presentandosi all’appuntamento preparato e con l’abbigliamento giusto e chi si ritiene a lei superiore e decide di sfidarla all’istante. In montagna si può anche salire con l’infradito al posto degli scarponi e l’Ipad al posto dei moschettoni: spetterà poi a lei decidere se concedersi nella sua altezza ad innamorati di passaggio o testarne l’amore fino ad un momentaneo ripudio. Nel casting dei possibili amanti c’è spazio per tutti: dell’intimità della seduzione, però, è lei a tenere le chiavi. Perchè certe realtà non si danno ad amanti di poco conto. Ci sono storie d’amore che nascono ai piedi delle rocce: sono storie fatte di rispetto e di attesa, di preparazione e di calcolo, di desiderio e di magia. Sono storie che sono diventate letteratura, quella che all’epica delle grandi gesta antiche sa rispondere con l’epica delle grandi conquiste avvenute in vetta. Se t’inabissi ci scopri il segreto per stregare una montagna, quel segreto nel cui alfabeto non ha spazio l’arroganza e l’invadenza, la fretta e la supponenza, l’astio e la crudeltà. Qualora ci fossero, non è passione per le cime: lassù, appena sotto le nuvole, si chiede un altro stile di umanità fatto di riverenza e rispetto, di umiltà e di tremore, di timore e di ammirazione. Certo che la puoi sfidare con la logica dell’autostrada: clacson, insulti, scorrettezze automobilistiche, sorpassi azzardati, guida in stato di ebbrezza. E’ altrettanto vero, però, che lei può non concedersi a così tanta arroganza: lei rimane lei, appena sotto la linea che separa l’effimero dall’Eterno.
Il presidente del Veneto Luca Zaia annuncia l’inasprimento dei costi per soccorrere gli impreparati, gli imprudenti e gli irrispettosi in alta quota: tanto di cappello, stavolta. E’ forse l’unica “salassata” che anche in tempi di crisi si mostri necessaria per insegnare l’arte del rispetto: della natura e di se stessi. Perchè chi con la montagna, dopo decenni di corteggiamenti, vive in profonda intimità, assicura che per essere eroi non occorre sfidare una vetta oltremisura ma semplicemente riconoscere quel confine che fa la differenza tra la riverenza e l’arroganza. Oltrepassarlo può essere mortale, arrestarsi ad un passo dalla vetta può sembrare una sconfitta: dei due, però, è solo il secondo a concedere un’altra possibilità di riscatto. Nel salto in alto si può vincere la medaglia d’oro anche accettando di far cadere una volta l’asticella.
(da Il Mattino di Padova, 18 agosto 2013)