Tonnellate di ferro e cemento scaricate nella periferia di una città, con dentro stipati i mille volti della delinquenza sociale. E’ l’immagine del carcere che imperversa nella mentalità comune. Il carcere è questo, ma è anche molto altro: sono anche frammenti di luce nel ventre delle tenebre. Molto di più: storie di risurrezione germogliate nel deserto della disperazione e della dimenticanza. Dietro le sbarre l’unica vera scoperta è quella di decifrare il presente sciogliendo le sue contraddizioni perchè il futuro non si può prevedere, lo possiamo solo favorire. Com’è capitato nella storia di Armand, ragazzo albanese di trentasei anni, giramondo per necessità, approdato nell’Italia delle chimere e divenuto vittima delle sue stesse illusioni: perchè risolvere la miseria con la delinquenza è un vecchio concetto oramai dichiarato perdente nel mondo dell’illegalità. Le sue radici sono nell’Islam dell’Albania, quasi Grecia: miseria e speranza, angoscia e rischio, illusione e dramma. Un’intera giovinezza giocata tra la strada e la notte e finita tra le sbarre e il cemento: con un’infinità di anni da scontare nel ventre di una patria galera.
Il carcere è un deserto spietato: certi giorni ti addolcisce la morte con le sue nenie funebri. Il carcere è un deserto ospitale: nel suo silenzio qualcuno ti attira per parlare al cuore: il vero fallimento non è abitare in un carcere ma non sapersi dare delle risposte quando le domande sono urgenti. Quando la domanda più urgente incalza notte e giorno: “che senso ha la mia vita?”. Quel giorno diventi un detenuto-esploratore: scendi nell’abisso del tuo cuore, tocchi il male che hai firmato, avverti l’eco delle grida che hai lasciato, scopri le conseguenze nefaste dell’infelicità. E inizi a fare pace con te stesso, per poi tornare a splendere nel mondo degli uomini. Armand nel deserto ha ritrovato il senso della sua vita: attraverso la manualità del lavoro ha iniziato a ricostruire la sua dignità, sfogliando le pagine del Vangelo ha scoperto la capacità di stupirsi, sentendo parlare di Gesù Cristo ha avvertito il sospetto che ci fosse Qualcuno capace di trasformare la colpa e il delitto in occasione di grazia. D’altronde il cemento e il ferro nulla possono contro le sorprese di un Dio che irrompe quando meno lo aspetti, che s’infila dentro le ferite più assurde dell’umano. La furbizia di Armand è stata quella di non sottovalutare il fattore “misericordia”, quella che non cancella la giustizia ma che è capace di far rinascere l’uomo.
Dopo due anni di cammino catecumenale, ieri Armand è diventato cristiano e ha scelto il nome di Davide, il pastore divenuto re in Israele. Il suo padrino di battesimo, Giovanni, è un ergastolano albanese (uno di quelli tosti, ndr) divenuto cristiano pure lui due anni fa, in calce ad una vita di compromessi. Loro due e l’Altro: quello capace di aggiustare esistenze deragliate, di dare un senso a vite ferite, di ricostruire case distrutte. Ieri il carcere “Due Palazzi” era ancora una colata di ferro e cemento, ma dentro c’era la festa per questo capolavoro della Grazia. Non sembrava nemmeno un carcere: era una piccola comunità cristiana riunita attorno ad un amico col quale condivide celle e sogni. I genitori arrivati dall’Albania, la flotta di amici usciti dalle celle, la truppa di volontari che silenziosi abitano il carcere, gli amici della Cooperativa Giotto che là dentro portano il lavoro e scommettono sull’uomo, i volti commossi e le mille domande cucite addosso. Ci sono mattine in cui dalla finestra del carcere contempli aurore inaspettate: sono i giorni di Dio. Come quelli di Armand/Davide: perchè nessuno è mai perduto nella vita se lascia aperta una breccia alle sorprese dell’Eterno. Qui dentro ne siamo testimoni: nel nome del Buon Ladrone dei Vangeli.
Il carcere è un deserto spietato: certi giorni ti addolcisce la morte con le sue nenie funebri. Il carcere è un deserto ospitale: nel suo silenzio qualcuno ti attira per parlare al cuore: il vero fallimento non è abitare in un carcere ma non sapersi dare delle risposte quando le domande sono urgenti. Quando la domanda più urgente incalza notte e giorno: “che senso ha la mia vita?”. Quel giorno diventi un detenuto-esploratore: scendi nell’abisso del tuo cuore, tocchi il male che hai firmato, avverti l’eco delle grida che hai lasciato, scopri le conseguenze nefaste dell’infelicità. E inizi a fare pace con te stesso, per poi tornare a splendere nel mondo degli uomini. Armand nel deserto ha ritrovato il senso della sua vita: attraverso la manualità del lavoro ha iniziato a ricostruire la sua dignità, sfogliando le pagine del Vangelo ha scoperto la capacità di stupirsi, sentendo parlare di Gesù Cristo ha avvertito il sospetto che ci fosse Qualcuno capace di trasformare la colpa e il delitto in occasione di grazia. D’altronde il cemento e il ferro nulla possono contro le sorprese di un Dio che irrompe quando meno lo aspetti, che s’infila dentro le ferite più assurde dell’umano. La furbizia di Armand è stata quella di non sottovalutare il fattore “misericordia”, quella che non cancella la giustizia ma che è capace di far rinascere l’uomo.
Dopo due anni di cammino catecumenale, ieri Armand è diventato cristiano e ha scelto il nome di Davide, il pastore divenuto re in Israele. Il suo padrino di battesimo, Giovanni, è un ergastolano albanese (uno di quelli tosti, ndr) divenuto cristiano pure lui due anni fa, in calce ad una vita di compromessi. Loro due e l’Altro: quello capace di aggiustare esistenze deragliate, di dare un senso a vite ferite, di ricostruire case distrutte. Ieri il carcere “Due Palazzi” era ancora una colata di ferro e cemento, ma dentro c’era la festa per questo capolavoro della Grazia. Non sembrava nemmeno un carcere: era una piccola comunità cristiana riunita attorno ad un amico col quale condivide celle e sogni. I genitori arrivati dall’Albania, la flotta di amici usciti dalle celle, la truppa di volontari che silenziosi abitano il carcere, gli amici della Cooperativa Giotto che là dentro portano il lavoro e scommettono sull’uomo, i volti commossi e le mille domande cucite addosso. Ci sono mattine in cui dalla finestra del carcere contempli aurore inaspettate: sono i giorni di Dio. Come quelli di Armand/Davide: perchè nessuno è mai perduto nella vita se lascia aperta una breccia alle sorprese dell’Eterno. Qui dentro ne siamo testimoni: nel nome del Buon Ladrone dei Vangeli.
(da Il Mattino di Padova, 26 maggio 2013)
(Nelle foto – Festa grande al carcere “Due Palazzi” di Padova. Armand, albanese di 36 anni, dopo due anni di cammino di catechesi ha ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana dal parroco, don Marco Pozza. A fargli da padrino Bledar Giovanni, ergastolano albanese, che ha percorso lo stesso cammino diventando cristiano due anni fa. L’occasione di mostrare anche l’altra faccia del carcere: quella che, creando condizioni di umanità, riesce a ridare significato ad esistenze ferite dando loro occasioni di speranza. Armand, diventato cristiano con il nome di Davide, assieme a Giovanni lavorano da anni presso la Cooperativa Giotto nell’assemblaggio di valige e nel montaggio di biciclette. Un percorso di lavoro e di fede: perchè l’uomo è una commessa che si può vincere).