Giampiero,Max. Il primo ha lasciato questa terra ed è tornato alla Casa del Padre. L’ultimo è ancora con noi e può ancora dare tante alle nostre vite, a partire da chi gli sta intorno. Ma tanti altri sono sicuramente i loro nomi, così come tante, innumerevoli sono le loro storie, i loro vissuti, le loro esperienze, le loro sensazioni. Mentre noi li pensiamo dei quasi – morti, forse zombies, chissà.. “come dei tronchi” dice addirittura qualcuno. Forse l’equivoco nasce da quel parlare di stati vegetativi che ci fa ricordare i vegetali, cioè le piante? Chi lo sa! Di certo, hanno tanto da raccontare e sanno arricchire l’esistenza delle persone che incontrano. Basta accettare di accogliere parole, anche quando queste sono flebili, espressioni anche se si tratta di leggere sguardi e occhi mobili e lucidissimi.
Molto spesso, più che di stati vegetativi, almeno dopo quello che viene definito (un po’ impropriamente, ma usiamolo, pur di capirci) il “risveglio”, è ancora meglio parlare di “locked-in sindrome”, come nei casi di Giampiero o di Max.
Giampiero Steccato, piacentino, soprannominato “Capitan Uncino” fu fatto conoscere tramite conferenze e dibattiti sul tema del fine vita da Massimo Pandolfi e altri e in tanti spettacoli di e da Alessandro Bergonzoni, attore emiliano da anni impegnato a fianco della Casa dei Risvegli di Luca De Nigris. In seguito ad un ictus, rimane paralizzato, muto, in seguito cieco e anche sordo. Nel 2010, l’incontro con il Santo Padre Benedetto XVI, nel quale lascia detto, tramite la figlia, le seguenti parole: “Ho voglia di vivere, sono entusiasta e curioso, amo la natura e il mondo, nel quale ho il privilegio di esistere. Sono consapevole che la mia fortuna è frutto della volontà del Signore. E ringrazio infinite volte per quanto mi è concesso”. Dipinge e scrive libri, firmandosi Capitan Uncino. Alla proposta di fare una mostra con i suoi dipinti, interviene commentando: “Sono ciofeche!”. Il tutto, naturalmente, tramite l’aiuto di decodificazione da parte della moglie. A testimonianza del mantenimento del suo carattere, della sua ironia, della sua voglia di vivere. È stato per anni, fino alla sua morte (30 ottobre 2011) la testimonianza vivente dell’amore per la vita, dell’entusiasmo per essa, anche quando le condizioni di salute davano l’apparenza di togliere ogni gusto al vivere.
C’è chi continua a ripetere che bisogna vivere ogni giorno come se fosse il primo. E c’è chi si ritrova ad imparare che significhi assaporare la bellezza e l’asprezza di un nuovo inizio. Perché qualunque sia, ogni nuova partenza, è sempre una sfida affascinante, ma prevede sempre anche una splendida fatica da mettere in pista. Nessuna partenza è alla portata dei pavidi.
È proprio con Max che spunta quell’ideologico termine che uccide l’uomo dal di dentro: “è un tronco morto”. Un uomo potrà essere un uomo morto, casomai. Ma un uomo non può essere un tronco: non può diventare un essere del regno vegetale chi non vi è mai appartenuto! Questo tuttavia si sente dire Lucrezia Povia, la mamma di Massimiliano, in stato vegetativo per 9 anni, in seguito all’incidente occorsogli nell’agosto 1991.
Lucrezia così racconta quello che successe la notte di Natale del 2000: «“Massimiliano, gli ho detto, la mamma è tanto stanca. Se vuoi, prega da solo”. L’ho visto alzare la mano e segnarsi. Subito dopo mi ha abbracciato». Potete immaginare quale emozione può essere stata per quella madre che, contro il parere dei medici, aveva deciso, nove anni prima, di riportarselo a casa, convinta che sarebbe riuscita a gestirlo. Sì, perché purtroppo, nonostante le tante promesse, nella quasi totalità dei casi questi malati (che hanno bisogno non tanto di cure mediche quanto di assistenza perché disabili gravi e di molta riabilitazione), sono lasciati quasi unicamente alle loro famiglie, che talvolta hanno la fortuna di poter contare su amici e volontari disposti a dare una mano.
È sconvolgente notare come la parabola degli eventi di Max sia andata quasi di pari passo con quella di Eluana Englaro. Mentre questa moriva, Massimiliano reiniziava a pronunciare le vocali.
“Ompi” dice alla madre Max (n.d.R.siamo nel settembre 2012), che insiste affinché lui faccia riabilitazione. Quella madre che aveva insistito per portarselo a casa, per prendersi cura di lui. Che non ha mai dubitato che il figlio sentisse, capisse tutto quanto accadeva intorno a lui, anche quando tutti le dicevano che era “un tronco morto”. Quella madre che sta avendo ragione.
Perché anche l’amore è una cura, forse la prima da somministrare. E un amore tenace e caparbio, come solo quello di una madre sa essere, sono – in tanti casi – la prima e più fondamentale delle cure da ricevere.
Alcune fonti
Sindrome Locked-in:
Dottor Giuseppe Dei Giudici
Locked-in: Giampiero
Video “Inguaribile Voglia di Vivere”
“Il Piacenza”
SuperAbile
Vita
Solleviamoci
..e Max