Caro Papa, suona strano scrivere una lettera ad un Papa che non è ancora Papa*. Strano ma affascinante, perchè regala la possibilità di aprire il cuore e gettare sulla nuda carta parole scarne ma apportatrici di un sogno. Scrivo a te, che sarai Papa fra qualche giorno: chissà se alla pronuncia del tuo nome avvertirai sulle spalle il peso di una storia lasciata aperta dal tuo precedessore, la responsabilità di uno scranno così poco umano da essere divino, la forza pressante di una storia millenaria e condita di martirio e tradimento. Ad ogni cambio di Papa s’accendono sogni e si riannodano vecchi pensieri: c’è chi vorrebbe rivedere l’amabilità di Giovanni XXIII e al tempo stesso la profondità intellettuale di Paolo VI, c’è chi è ancora nostalgico della teatralità spirituale di Giovanni Paolo II e chi aggiungerebbe volentieri la parole d’oro di Benedetto XVI, solo per citarne alcuni. Forse il Papa ideale uscirebbe solo da photoshop: la storia ha insegnato che nessun Papa è quello ideale ma che più di qualche Papa è stato semplicemente il Papa giusto nel momento giusto. Come quell’ultimo amabile pastore venuto dalla terra di Germania.
In tempi d’immagini veloci e di passeggeri desideri, non mi accodo a chi ti chiede l’impossibile: che tu abbia la pelle nera o meticcia, i lineamenti vietnamiti o gli zigomi di un cinese, la pronuncia all’inglese o l’accento americano: sono quisquiglie che saziano solamente l’ingordigia del gossip e lasciano il tempo che trovano. Mi basterebbe solamente che tu, appena diventato Papa, ti mettessi subito a parlarci di Lui: di quell’Uomo che dopo trent’anni di silenzio nella bottega di Nazareth ha lasciato l’eco di parole che ancora oggi parlano al cuore dell’uomo. Parole capaci di provocare e di spingere, di accendere e di infastidire, di aprire e di chiudere, di mostrare e di velare. E, assieme a Lui, che tornassi a farci innamorare di questa vecchia Chiesa ch’è pur sempre la sua splendida eredità. La conosci meglio di me: sembra zoppicante e malandata, affetta da senilità millenaria e attaccata dal virus del tradimento, un po’ stanca e forse timorosa dei giorni a venire. Ultimamente s’è sentita addosso pure un pizzico d’abbandono. Eppure dietro a tutto questo s’avvertono timidi germi di una primavera nascente, s’annusa il profumo del grano che sta per germogliare, ci sono squarci d’azzurro che aprono su spazi inimmaginabili. Torna a farci innamorare di una Chiesa dove ognuno di noi possa sentirsi a casa, in quel posto amico e domestico dove sapersi sicuri anche al buio. E a casa, magari spezzando il pane della Parola o condividendo il vino della vita, rincuora l’obbedienza: troppi dentro la chiesa la vogliono convertire in servilismo. Riaccendi la castità laddove l’hanno scambiata per castrazione. Parlaci della vera povertà perchè nessuno la sostituisca con la miseria.
E se t’avanzerà del tempo, rendi il gesto del tuo predecessore il manuale del perfetto uomo di chiesa: perchè impariamo che nessuno è condannato a governare in eterno ma tutti siamo chiamati a governare per amore, fino al punto da metterci in disparte per non intralciare la primavera che sboccia. In bocca al lupo, futuro Papa: questa settimana pregherò perchè questo non passi alla storia come il “conclave di donna Prassede”, la quale diceva spesso agli altri e a se stessa che tutto il suo studio era di secondare i voleri del cielo: ma faceva spesso uno sbaglio grosso, che era di prendere per cielo il suo cervello.
Allo Spirito Santo ci voglio credere: all’uomo – perdonami – ci credo un po’ meno. Ma tant’è, la sostanza non cambia. Perchè anche stavolta, oltre il tetto del sospetto, uscirà un fumo bianco che annuncerà la notizia più bella: che anche stavolta la storia della Chiesa riparte.
Nonostante tutto; nonostante tanti.
(da Il Mattino di Padova, 10 marzo 2013)
(*) Nella foto: Luis Antonio Gokim Tagle, cardinale di Manila. Sto pregando per lui. E faccio pure il tifo per lui!