Non importa che sia italiano o straniero. Non importa che sia sano o disabile. O forse sì, perché a sentire certi commenti, pare quasi che alcuni non aspettassero altro: un passo falso dell’idolo-quasi-perfetto per costruirgli una camicia di forza su misura, un titolone in prima pagina per distruggerne l’anima.
Sì, parlo di Oscar Pistorius. Ma forse non importa di chi parlo. Potrei parlare di Salvatore Parolisi, di Anna Franzoni o del caso di Rignano Flaminio. Si tratta egualmente di gogne mediatiche costruite ad hoc. Piazza il mostro in prima pagina, al resto penseranno i benpensanti. Ecco come rovinare una carriera, un lavoro, una famiglia… una vita!
Perché, dopo un’esposizione mediatica di questo tipo, è lampante anche a chi è meno veloce, che nulla potrà ricostruire la reputazione, neppure un’innocenza conclamata o una piena assoluzione. E la situazione è, se possibile, ancora peggio nei confronti delle accuse di carattere sessuale, dove il mostro si trasforma in “porco schifoso”, evitato come un lebbroso. E l’assoluzione, quando c’è, non è mai abbastanza reclamizzata per sopire la paura o cancellare la vergogna e gli insulti. È giusto, naturalmente, perseguire il reato, perché cessi, o quanto diminuisca e perché sia scoraggiato chi lo compie; ingiusto è però perseguitare la persona, in special modo prima ancora che si celebri il processo. Perché, all’inizio delle indagini, è possibile avere solo ipotesi e illazioni.
“Chiedi un autografo all’assassino
guarda il colpevole da vicino
e approfitta finché resta dov’è
toccagli la gamba
fagli una domanda, ancora”
Questi versi di Samuele Bersani (dalla canzone “Cattiva“) ben sintetizzano lo stile, purtroppo imperante, di un certo giornalismo, che è poi quello che fa anche successo, per cui questo basta a giustificarlo e renderlo immune dalle conseguenze delle proprie azioni.
Non voglio compiere lo stesso errore, quindi non mi perdo in giustificazioni di sorta, anche per il semplice motivo che io per prima non partecipo alle indagini e dunque non ho l’opportunità di attingere ad informazioni dirette. Quindi, forte dell’adagio che afferma che, se la parola è d’argento, il silenzio è d’oro, su questo aspetto specifico preferisco non pronunciarmi.
So quello che sento dai telegiornali, come tutti. Se il ragazzo ha commesso un omicidio, pagherà, com’è giusto che sia. Come prevede la legge penale e suggerisce l’etica.
Ma se è innocente? Ce lo domandiamo ogni tanto? Se è innocente, lui intanto è un uomo finito a livello di reputazione, a livello economico, sociale e probabilmente anche lavorativo. È questo meccanismo ad essere perverso e se c’è una cosa di cui posso essere “contenta” è di avere la possibilità di esprimerlo a chiare lettere: è pazzesco che si possa essere moralmente distrutti, prima ancora che sia stata dimostrata la propria colpevolezza. Si tratta di un processo ante litteram, di cui si è vittima prima ancora del processo vero e proprio, in cui ci si trova chirurgicamente screditati, esposti a una gogna mediatica che analizza minuziosamente pregi, virtù, difetti, stereotipi, piccole manie, amplificandole ad arte, dove serva, pur di dipingere il quadro che avvalori la tesi sostenuta.
Questo si tratta solo del caso più recente e forse più globale, per la notorietà del personaggio.
Ma ci sono tante persone, che dopo essere state accusate di reati vari (furti, omicidi, stupri, pedofilia) e aver subito la carcerazione preventiva, non hanno retto all’onta e hanno deciso di togliersi la vita. Suicidio per vergogna, indotto da altri. Spesso, beffa delle beffe, a pochi giorni da quel gesto, arriva la piena assoluzione, postuma. “Scusate, avevamo sbagliato”. O meglio: “Niente scuse. Ci siamo sbagliati. D’altronde, capita”.
Già, capita. Peccato che anche quello sia sangue innocente. Ingiustamente accusato da colpe inesistenti, l’individuo si ritrova con una reputazione rovinata, per colpe che non ha commesso. Fino all’assurdo di morire con la fedina penale ripulita, ma con la reputazione irrimediabilmente rovinata per sempre.
Del resto, tutti, fino a prova contraria, sono innocenti. Tant’è vero che l’accusato è chiamato dimostrare la sua estraneità al fatto, cioè in poche parole deve dimostrare, più la sua innocenza la sua non colpevolezza e la sua impossibilità a compiere tale reato (quello di cui è accusato).
Ho capito che la domanda è rimasta a mezz’aria: e se Pistorius fosse dimostrato colpevole?
«Non c’è niente di più bello di un uomo che cade e si rialza» diceva il vescovo de I Miserabili. E allora, che dire di un uomo senza gambe che cade e si rialza?
Il Male non ha mai l’ultima parola. Questo dovrebbero insegnarci quei detenuti che lottano con fermezza, dopo averlo guardato spavaldamente in faccia, per allontanarsene in modo definitivo. Sono chiamati a fare da guida a noi che siamo di fuori. Perché il Male che noi incontriamo è piccolo e subdolo, e spesso ci lasciamo abbindolare, ingannare e lo abbracciamo con quel maligno e solo apparentemente innocuo “Che male c’è? Fan tutti così!” con cui giustifichiamo la la torbidezza dei nostri pensieri prima, e poi delle azioni che ne seguono…
Fonti:
Corriere d’Abruzzo
T-Mag
Corriere della Sera
LiberoQuotidiano
(Oscar Pistorius)
Crimeblog
(Rignano Flaminio)
(Salvatore Parolisi)
Volando controvento (questo è il diciottesimo, ci sono altri 17 capitoli se siete interessati)
(Anna Franzoni)
Processi mediatici e diritti delle vittime: da cogne a Rignano Flaminio
Giornalettismo
Giustiziagiusta
(processi mediatici)