pensa

Come una splendida staffetta. Nel giro di otto giorni il calendario ci invita a ricordare due eventi particolari ai quali sono state dedicate due giornate: quella della memoria (29 gennaio) e quella della vita (3 febbraio). Quasi un accattivante invito a costruire la tela dell’esistenza tessendo due fili tra loro strettamente congiunti. Perchè dimenticare ciò che è stato il passato rende ostica la costruzione del nostro presente. E quello delle generazioni future.
Tenere accesa la memoria del passato – spazio nel quale i fili del bene inevitabilmente s’intrecciano con i fili del male – permette all’uomo di sentirsi parte di una storia che viene da lontano, di un patrimonio di pensieri e di azioni che inevitabilmente ha portato a costruire una memoria collettiva dentro la quale oggi viviamo. Il semplice fatto di raccontare le storie ai bambini dice il desiderio dell’uomo di mantenere viva questa memoria, di mostrarsi custodi gelosi di vecchie tradizioni che hanno contribuito a tessere un’identità, un pensiero, il progetto di un’azione. L’uomo ha bisogno delle storie per vivere, storie nelle quali lo sguardo che s’affaccia sul male è più prezioso di quello che invita a chiudere gli occhi. Il potere ha sempre cercato di manipolare le storie – forse anche la grande storia -, ha tentato a più riprese di addomesticarsi gli scrittori, prima comprandoli poi asservendoli alla loro corte come cantastorie. Perchè conoscere la storia per come è andata aiuta l’uomo a capire meglio il presente nel quale vive, gli offre la possibilità di non vergognarsi se nell’albero genealogico della famiglia compaiono tracce di emigrazione e nel medesimo atto gli ricorda che la storia chiede anche la restituzione. E’ meravigliosa l’immagine della “casa della memoria”: un luogo ospitale nel quale sedersi e imparare a scrivere la storia leggendone i fatti e non “per sentito dire”, apprendendo il linguaggio critico e l’onestà intellettuale, facendo pace col proprio passato per organizzare un futuro diverso. Per immaginare una possibilità diversa di essere nel mondo.
Ecco allora che dalla memoria nasce la voglia della vita, fino a diventare difesa gelosa della vita in tutte le sue manifestazioni: la vita nascente e quella morente, la vita libera e quella reclusa, la vita nobile e quella miseria, la vita di città e quella di campagna, la vita del piccolo e quella del povero. Difendere la vita vuol dire già essersi innamorati di essa e aver scoperto in essa il palcoscenico più intrigante sul quale esibirsi nello spettacolo della propria vita. In tempi di crisi economica la vita fisica è messa a dura prova; ma ci sono anche dittature che ostacolano la vita del pensiero di una nazione, “luoghi comuni” che infangano la dignità della vita delle persone, istituzioni che usano la vita senza poi credere veramente nel suo valore ultimo. La memoria come un arnese: per gustare un po’ di più la vita e, forse, provare un pizzico di misericordia in più per l’uomo che fallisce il bersaglio.
Nel carcere di Padova qualche giorno fa abbiamo inaugurato un laboratorio di digitalizzazione che lavora a stretto contatto con la tragicità di pagine di storia passate: chi ci lavora sono persone detenute. E’ emblematico che ciò sia avvenuto dentro una galera, perchè se vogliamo tentare l’avventura di accendere delle vite “nuove” è necessario partire dal passato della loro storia e aiutare l’uomo a prendere coscienza di ciò che è accaduto. Ci sono dei giorni in cui dietro le sbarre s’avverte il perchè la memoria e la vita camminino a braccetto: perchè ogni proposta per il futuro nasce da una riflessione sul passato e l’oggi dev’essere lo spazio nel quale tentare un cambio di direzione.

(da Il Mattino di Padova, 3 febbraio 2013)

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