Un’epigrafe funebre come tante altre. Annuncia la morte di Roberto Magri – un padre di Treviso ammazzato dal figlio Bruno, studente ventunenne al Conservatorio – e appena sotto la foto il nome delle persone che ne danno il triste annuncio: “ne danno l’annuncio la moglie Paula, il figlio Bruno e tutti i suoi cari”. A colpire l’attenzione è il nome di Bruno, il figlio che ha causato la morte del padre. La sua oggi è una famiglia distrutta dal dolore: a fare in modo che la tela familiare non si sfilacci completamente è rimasta Paula de Waal, insegnante universitaria, che fino all’altro giorno era moglie e mamma e che oggi, dopo l’omicidio del marito, è rimasta semplicemente madre. C’è la sua mano dietro la scelta di inserire il nome del figlio nell’epigrafe: potrebbe sembrare un disgustoso controsenso per chi è abituato a leggere un crimine giudicandolo per lo spazio di tempo nel quale si è consumato. Potrebbe anche essere una lezione di altissima civiltà per chi come Paula, abituata a stare a stretto contatto con i giovani, è andata oltre l’episodio e ha intravisto il volto di un figlio che ora è da aiutare e, forse, da salvare. Conclusa anzitempo la sua avventura di moglie, le è rimasta quella di madre. E a questa avventura Paula non vuole sottrarsi, costi quel che costi: “Bruno, ti voglio bene” ha scritto nella sua bacheca Facebook qualche giorno dopo l’accaduto. In mezzo ai tantissimi commenti di risposta, quello di un’amica: “tuo figlio ha tanto bisogno di te”.
La forza misteriosa delle madri sovente sorprende e spiazza la sicurezza del mondo adulto: eppure sul Calvario rimangono sempre e solo loro, splendidamente donne, a raccogliere i frammenti di Croce rimasti per costruire il segnale stradale che addita al mattino di Pasqua. Sono le donne che nella Bibbia aiutano e contemplano Dio a nascere, crescere, giocare e morire; per poi essere accreditate come prime spettatrici della Risurrezione. Paula è tra queste: lungi dal parlare di un facile perdono, questa donna ha accettato di organizzare le condizioni grazie alle quali un giorno il figlio potrebbe rendersi conto del male compiuto e prenderne le distanze. Fino forse a pentirsi d’aver ucciso il padre. E dietro il volto di questa madre-coraggio, il volto di una comunità disposta a riaccreditare fiducia: “ci sono dei momenti in cui si perde il controllo di noi stessi, in cui l’adrenalina diventa padrona – riflette il parroco don Giovanni con una giornalista -. Dobbiamo esercitarci ad arrivare al dominio di noi. E noi faremo di tutto per recuperare questo ragazzo. Dopo la sentenza, potrebbe essere accolto in una struttura adeguata, diversa dal carcere».
Una pagina di cronaca – triste prima che nera – che oggi appare come un mantello da raccogliere e indossare, seppur a fatica e camminando carponi. Perchè molto spesso il delitto è il gesto finale di una storia travagliata e misteriosa, nella cui trama i fili del bene s’intrecciano inevitabilmente con i fili del male. Contemplarli singolarmente è impresa ardua oltrechè azzardata per chi vuole a tutti i costi trovare una spiegazione alle gesta libere dell’uomo che a volte impazzano. Oggi di questa pagina di cronaca rimane il gesto “folle” di Paula che, vistasi privare del marito dalle mani del figlio, ha raccolto ciò c’è rimasto della sua famiglia per risalire la china dell’esistenza. Leggendo negli occhi spaesati di quel figlio un grido d’aiuto: “amami, mamma, quando meno me lo merito. E’ allora che ne avrò più bisogno”. E’ una splendida pagina di civiltà, laddove la misericordia e l’amore non cancellano la giustizia e la responsabilità ma diventano strumenti materni per far nascere la verità.
La verità di un gesto, di una storia, di un giovane che s’affaccia alla Vita.