bambinodeluso

Come dare ragione ai Maya con qualche giorno di ritardo: ancora vivi, eppure con un’epigrafe davanti agli occhi che azzanna la speranza. Chissà se ci sarà ancora qualcuno che all’alba, mentre fuori piove e il cielo minaccia vendetta, inforcherà la sua bici e s’intrufolerà nel sentiero che passa vicino alla vecchia ferrovia per l’ennesima fatica. Chissà se, appena rincasato dall’ufficio dopo otto ore lavorative, ci sarà ancora quell’omino che si metterà le scarpe ai piedi e macinerà chilometri per preparare la sua corsa. Chissà se da qualche parte vedremo ancora quel bambino che, tornato da scuola, s’affretterà a terminare le lezioni per poi andare al campo per l’allenamento quotidiano. Chissà se tante cose continueranno ad accadere perchè, ammazzata la passione, ciò che rimane è il sospetto d’essersi svegliati da una colossale delusione. T’innamori dello sport il giorno in cui vedi un campione – che davvero pensi tale – capace di fare cose che la tua testolina nemmeno immaginerebbe: creare un assist quando tutti vedevano la palla già oltre la linea, scalare una montagna facendo sembrare semplici passaggi difficilissimi, compiere in sella ad una bicicletta cose spettacolari ed emozionanti. Così decidi che anche di te un giorno diranno le stesse cose, che pure tu fra qualche anno riuscirai a fare innamorare della fatica altrettanta gente, che anche la tua potrà diventare una storia da emulare. Lotti e t’alleni, rubi tempo al sonno e ti alzi mentre il paese ancora dorme, sacrifichi i week-end e fai i supplementari a scuola. Metti da parte i tuoi spiccioli per fare anche tu di una bicicletta un destriero in sella al quale conquistare il mondo: il tuo mondo. Perchè quell’atleta t’ha infuso nelle vene dei ritagli di cielo.
Poi un giorno su quella storia cala il sipario. Tanti t’avevano detto: “finirà, ragazzo. E’ disumana”. Eppure non ci credevi perchè i sogni sono fatti per crederci: nessuno vittoria è possibile per chi non va in fondo ai propri sogni. E poi quell’uomo è un eroe tutto tondo: baby prodigio, il cow-boy americano che il giorno in cui gli hanno diagnosticato il cancro scrisse: “penso che il cancro abbia sbagliato avversario”, l’americano che ha piantato la bandiera a stelle e a strisce in ogni posto dove passava. T’innamori e anche tu un giorno vorresti poter fare lo stesso: ti chiudi le orecchie, pedali, metti da parte chi t’insinua il contrario. Capisci anche tu che certe prestazioni sono dis-umane: sai qual’è il gusto della pasta e della rucola, della mozzarella e del prosciutto crudo, delle gallette al riso e del Gatorade. L’unica incertezza quella volta al Giro d’Italia: hai raccolto la borraccia che lui ti ha lanciato e ne facesti il cimelio delle giornate da leggenda, una reliquia da custodire con cura. Eppure quell’odore acre, quel tappo che appena svitato non ti raccontava l’odore del the, quel miscuglio di sicurezza e incertezza. Anche quel giorno, però, tutto è passato: lui rimase lui.
Oggi c’è un’epigrafe. E’ un’epigrafe strana perchè tutte le epigrafi funebri sono scritte dai familiari del defunto. Questa è l’unica epigrafe in cui un uomo annuncia che è morto. L’uomo è uno di quelli che ha acceso sogni e riaccreditato speranza di vita in milioni di malati: il suo nome è Lance Armstrong, l’americano a stelle strisce. Oggi in tanti busseranno alla tua porta e ti diranno: “hai visto, ragazzo?”. E tu, tra la mestizia e la rabbia, inforcherai ancora la tua vecchia bicicletta e tornerai a tuffarti dentro al sentiero per raccontare alla terra l’avventura di una cocente delusione. L’ennesima.
Ad ammainare la bandiera non è solo l’America: quella bandiera era un simbolo. E tale rimarrà perchè le pagine di storia non si cancellano. Al massimo le si fa scivolare nell’anonimato. Come insegna l’America.

(da Il Mattino di Padova, 20 gennaio 2013)

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