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Con l’anima bruciata dal desiderio del Regno. Triste sorte la sua all’inizio: arrivato troppo tardi per far carriera tra i profeti e arrivato troppo presto per far carriera tra gli apostoli, il Battista – ultima speranza di un popolo disperato – appariva ai loro occhi quasi il Messia: “e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo” (liturgia della Festa del Battesimo del Signore). Lui, l’accusatore del Mar Morto; l’Altro, il Liberatore del Mare di Tiberiade. Triste sorte quella dei precursori, sin dai tempi di Mosè: arriveranno fin sulle rive del Giordano ma non godranno della Terra Promessa; spianeranno la strada a Colui che cammina dietro di loro ma un giorno passerà loro innanzi; prepareranno un trono nel quale mai giorno verrà nel quale potranno sedersi e riposare.

Il profeta non è filosofo: poco gl’importa se il mondo è fatto d’acqua o di fuoco, se l’acqua e il fuoco non bastano a render migliori l’anime degli uomini; è poeta ma senza volerlo e saperlo, quando la piena dell’indignazione o lo splendore dei sogni gli mettono in bocca immagini forti che i retori non sapranno mai inventare; non è sacerdote perchè non è stato unto nel Tempio dai guardiani mercenari dei Libri; non è re perchè non comanda gli armati e ha come spada soltanto la parola che viene dall’alto; non è soldato ma è pronto a morire per il suo Dio e la sua gente. Il profeta è una voce che parla in nome d’Iddio, una mano che scrive sotto dettatura d’Iddio; è un messaggio mandato da Dio ad avvisare chi ha smarrito la strada, chi s’è scordato dell’alleanza, chi non fa buona guardia. E’ il segretario, l’interprete e l’inviato d’Iddio; è dunque superiore al Re che non ubbidisce Iddio, al sacerdote che non intende Iddio, al filosofo che nega Iddio, al popolo che ha lasciato Iddio per correre dietro agli idoli di legno e di sasso”(G. Papini, Una storia di Cristo, Vallecchi, Firenze 2008)

Cristo oggi ha trent’anni: corre veloce la liturgia, poco rispettosa delle anagrafi dell’uomo. Nascosto nella stamberga di Nazareth, apprende gli ultimi segreti dal padre carpentiere e dalla madre lavandaia. Trent’anni è l’età giusta: prima è troppo presto, dopo sarà troppo tardi. Il Nazareno affina le ultime sbozzature alla sua statuaria bellezza d’Uomo. L’amico, che campeggia magnetico nelle rive del Giordano, continua imperterrito la sua opera di pulizia: “Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata”. Lo confondono col Messia ma lui non ci sta: preparare la strada è il suo mestiere, percorrerla sarà affare dell’Amico che a Nazareth si sta allacciando i sandali ed è ormai prossimo alla partenza della vita pubblica. Li battezza, li redarguisce, ne condanna le malvagità e fa sbocciare le virtù: era stato fatto apposta dall’Altissimo per conquistare le immaginazioni e convertire la gente al Cielo. E loro dal Battista ci andavano perchè sudici e sporchi. Non è lui l’atteso, è l’Altro: “Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”.
E l’altro, il silenzioso predicatore di Nazareth, s’intrufola nella fila degli impuri; come il mattino seguente all’annuncio sua Madre s’intrufolò tra le lavandaie di Nazareth, senza lasciar supporre che nel suo grembo avesse posto casa l’Altissimo. Puro tra gli impuri a farsi battezzare da Giovanni: mai considererà un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio ma svestirà se stesso, s’accaserà nelle sponde del fiume Giordano e chiederà al Battista l’acqua della pulitura. Non c’è sudiciume in quella carne venerata dai pastori e profumata dai Magi: eppure l’inchinarsi di fronte all’amico nel gesto tipico dei peccatori è anche un dirgli grazie per il lavoro svolto. Lo guarda e si guardano: chi trattiene l’acqua in mano è stato un ambasciatore fedele, un amico leale, un uomo tuttotondo. L’Amico di Nazareth ne legittima l’investitura di precursore. S’erano incrociati nella voce ancor prima di nascere – quando nel grembo di Elisabetta Giovanni sussultò appena Maria varcò la porta della cugina coll’Eterno nel grembo – oggi l’uno passa il testimone all’altro, come segno di fedeltà.
Nelle sponde del Giordano non ci sono zie commosse e nemmeno farfuglio di candidi pizzi come nel giorno del nostro battesimo. C’è l’inizio di un’avventura che il mondo nemmeno immaginava, iniziata nel modo più umano il mondo conoscesse: puro tra gli impuri, senza timore alcuno di venir contagiato. Un giorno degli impuri diverrà l’àncora di salvezza, dei giusti la pietra d’inciampo, della storia l’uomo spartiacque. Oggi è semplicemente in ginocchio, coll’acqua a bagnargli il capo. Poteva rimanere così: sarebbe stato un Dio comodo e rassicurante. Domattina, invece, dalla moltitudine del Giordano si tufferà nella solitudine del deserto: il primo regalo non sarà un miracolo ma semplicemente lo spartire con noi la condizione di chi nasce uomo, che si chiama tentazione. In barba ai buoni propositi dei parenti che sorridevano il giorno del nostro battesimo. Chissà con qual privilegio s’erano confusi.

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