A sfogliare le rassegne stampe di questi ultimi giorni, sembra che a Padova si sia deciso di sostituire il tormentone estivo “sole, cuore, amore” con un altro, imposto dal pluralismo religioso della città di Antenore: “moschea si, moschea no” che sa tanto stile Elio e le storie tese. O meglio: le solite storie. Avvertendo i colpi di cannone sparati da postazioni diverse, la questione della moschea mi sta tormentando parecchio. O meglio: impensierendo. Perché non ricordo a memoria personale tema riguardante la mia chiesa che sia stato preso così a cuore come quello che riguarda i fratelli di fede diversa. Nel Vangelo – unica legge al di là di tanti comunicati stampa e prese di posizioni ufficiali – abita un monito riassunto dal Nazareno: “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22,39). L’inghippo non è l’amore, non è il prossimo, non è nemmeno sé stessi. E’ quell’avverbio: “come”. Cioè nella stessa misura, con la stessa profondità, in egual modo. E illusione sprovveduta pensare di amare il diverso in modo maggiore che noi stessi. La multiculturalità ci porterà ad elaborare scelte di civile convivenza, ci porterà a rispettare i diritti altrui, a stringere alleanze finora impensate. E forse insperate. Ma il punto di partenza non muta: amare noi stessi! Impresa molto più ardua ed estenuante.
Mi sarebbe piaciuto – e mi piacerebbe nel mio ottimismo – vedere che dentro la chiesa trattiamo con la stessa passione le fatiche che ci affliggono: le diversità di vedute, di carismi e di pastorale. Le nuove cattedrali da abitare, oltre le moschee da costruire. Mi piacerebbe che chi ora prende le difese da un certo estremismo domani, a moschea inaugurata, fosse lì a combattere per far capire che non necessariamente ciò che fa parte del passato è più autentico come testimonianza resa alla Parola di Dio. Innalziamo pure il minareto, ma convinciamoci tra noi chiesa che la tradizione – alla quale troppe volte amiamo appellarci come quando si gioca a nascondino – non è la trasmissione di un passato pietrificato, ma è fatta di riprese creative. Il cristianesimo è tradizione e innovazione. Non dobbiamo adattare il messaggio di Cristo alla stupidità del tempo, ma sarà nostro compito ascoltare la domanda alla quale dare risposta. Sono sempre gratificanti i gesti di volontariato nelle zone del Mato Grosso: a patto che tra le mura di casa i piatti non li lavi sempre e solo la mamma!
Ricordo l’elogio fatto ad un parroco per aver ospitato la festa del Ramadan nel centro parrocchiale. La esaltarono come una forma di “ecumenismo silenzioso”. Crediamoci pure: ma descrivete anche gli sguardi dei bambini quando videro il loro patronato invaso da gente rivolta verso la Mecca. Senza che nessuno spiegasse loro la nuova pastorale ecumenica.
Avviciniamo pure i fratelli lontani. Ma non maltrattiamo i fratelli in casa.
Foto da www.effedieffe.com