L’avevo visto a gennaio e m’era sembrato giovane e sbarazzino, con quel piglio tipico delle stagioni primaverili. Quel giorno, popolato di regali e colorato di propositi, c’avrei giurato che sarebbe stato un anno meraviglioso, l’anno migliore della storia di quaggiù. Poi l’ho incrociato ai primi di giugno, col volto abbrustolito dai soli d’estate e già lì m’era sembrato un po’ affaticato e flebile nel parlare. Non ci siamo più visti tutta l’estate: lui a rincorrere i passi tumultuosi degli uomini, io a reggere le traiettorie dei miei pensieri. Sul calare dell’autunno ci siamo incrociati ad un sentiero: m’era apparso zoppicante e gravido di stanchezza, con le occhiaie gonfie e i passi incerti dei viandanti di lunga data. Rattristato per quella morte anzitempo profetizzatagli dal popolo Maya, sembrava incupirsi tristemente al solo pensiero di passare alla storia come l’unico anno con meno di 360 giorni. All’indomani, però, s’alzò festante e col brio nello sguardo: alla fine anche i Maya s’erano dimostrati fallimentari.
Adesso campeggia lì, sul ciglio della porta di casa mia: bagagli e lenzuola, vestiti e cartacce, strofinacci e sandali. Tutto ingobbito su quella ch’è rimasta la sua piccola fortuna strappata all’ingordigia degli uomini. Il suo passo è incerto, il passo tentennante di chi, sulla frontiera, è tutto teso tra il passato che già conosce e il futuro che si spalanca velato ai suoi occhi. L’ultimo sguardo e poi anche lui se ne andrà negli annali della storia, appena dietro il 2011. Per un anno sarà il custode del tempo, poi l’anno prossimo farà un passo indietro come tutti i suoi predecessori e successori: ogni anno, quaggiù, è sempre passato, presente e futuro. Eppure quel fare sornione mi lascia sospettare che s’attenda almeno un grazie per i servigi offerti. O semplicemente per questi 365 giorni che arrecano la sua firma. Poco importa se a gennaio aveva i lineamenti sciolti e freschi e oggi me lo ritrovo affaticato e malinconico: rimarrà per sempre il mio 2012 che mai potrò ritoccare. Sublimità e delicatezza di un tempo datoci come occasione di storia da giocarsi in prima persona.
Tante grazie, mister 2013: per averci dimostrato che ci manca ancora tanto per metterci al posto di Dio con successo. Perchè ci hai mostrato una chiesa sgangherata e disordinata: in caso contrario la sua perfezione c’avrebbe messo soggezione. Perchè la politica ha lasciato il posto ai professori: ogni tanto anche lei deve ripartire da zero per essere convincente. Perchè ci hai dato il triste annuncio che i dinosauri hanno compiuto un anno in più: speravamo fosse l’ultimo ma portiamo ugualmente pazienza perchè questo potrebbe essere quello definitivo. Perchè a gennaio ci avevi costretti a grandi propositi e a dicembre facciamo i conti con colossali sbavature: forse più che la perfezione ci è d’aiuto l’imperfezione delle nostre opere perchè ci costringe a darci da fare ulteriormente. Tu te ne vai, sazio di giorni e carico di fatiche: noi rimaniamo a sgobbare tra i meridiani e i paralleli di una storia che appare sempre più ingarbugliata. Tu negli annali della storia, noi dentro una storia quotidiana dalla quale non riusciamo a fuggire: forse che solo tra pannolini e stoviglie, arnesi e vocabolari, spugne e intonaci anche quest’anno correremo il rischio di ripartire da zero. Con la costrizione al collo o la libertà nel cuore, che importa?
Avremmo sognato di dire che sei stato l’anno più bello della nostra vita, ma non ci è possibile oggi, pena l’infedeltà al nostro essere uomini. Però di una cosa ti rendiamo merito: che giorno dopo giorno c’hai costretti a ridimensionare le pretese, a ridisegnare le traiettorie, a ripartire da zero. C’hai insegnato a perdere: e questa è stata la conquista più bella. Quella per la quale oggi ti salutiamo come l’anno più credibile della nostra storia di uomini e di donne.
(da Il Mattino di Padova, 30 dicembre 2012)