Fa parte dell’arredamento dell’Italia, come quel vecchio mobile che – seppur divorato dal tempo e scorticato dalle gallerie dei tarli – la nonna non ha il coraggio di accatastare in soffitta perchè le sembra quasi di tradire la sua storia. Il Festival di Sanremo sta all’Italia come il mobile sta al cuore della nonna: maltrattato risorge, dato per vinto scatta in contropiede, sull’orlo del precipizio azzarda uno scatto. Tutti l’accusano d’esser diventato una leggenda vuota e noiosa ma, all’approssimarsi di febbraio, l’Italia si rimette in forma al ritmo della sua musica. Perchè al Festival dell’Italia va di scena l’arte, strumento popolare che racconta il guazzabuglio del cuore umano, che mette in musica le contraddizioni piuttosto che risolverle, che s’ispira all’eterna mescolanza di ordine e disordine, verità ed errore, giustizia e trasgressione, ragione e delirio. Perchè nella dimensione artistica si può sperare di trovare la verità solo nella misura in cui ci si abbandona a questo groviglio.
Da millenni l’arte nelle sue varie sfaccettature è nemica del potere, nonostante il potere più volte abbia deciso di comprarla mettendo “al soldo” i suoi artisti. Ed è un’inimicizia che affonda le sue radici nella notte dei tempi quando gli uomini, spaventati da un mondo che non riuscivano a comprendere, iniziarono a vincere la loro paura raccontandosi delle storie, componendo delle canzoni e inanellando tra loro i versi delle filastrocche. Riconobbero all’arte una funzione quasi terapeutica, un porto sicuro nel quale far approdare la zattera della loro esistenza e proteggersi dalle intemperie. Le storie e le musiche li rasserenavano, quasi li portassero in una dimensione fantastica nella quale riordinare la loro vita per poi tornare nel quotidiano con uno spirito più critico: dal suo sorgere, l’arte permette all’uomo di leggere e capire il mondo che altrimenti somiglierebbe ad un film straniero senza sottotitoli. Ecco perchè l’uomo, rinfrancato dalla dimensione artistica, trasforma il suo disagio in una critica alla città nella quale vive: quell’inquietudine del cuore – che nasce dopo aver contemplato una creazione artistica, ascoltato una canzone sublime o letto un romanzo ammaliante – accende nell’uomo pensieri liberi, critiche inedite e una nuova freschezza per abitare dentro la vita di tutti i giorni. Fino ad immaginare strade e percorsi nuovi da abitare. Quando un’opera d’arte riesce, il potere dei dinosauri – acerrimi nemici della dimensione estetica dell’esistenza – rischia il tracollo: l’unica maniera per salvarsi è ammanettare l’arte.
La nonna non ha il coraggio di spostare quel mobile. L’Italia, invece, quest’anno forse sposterà il Festival di Sanremo perchè in quei giorni si faranno le prove generali della commedia intitolata “Dinosauri al potere”. L’arte potrebbe diventare pericolosa nel pensiero del popolo, pertanto sarà meglio spostarla a data da destinarsi. La motivazione fittizia è la “par condicio” pre-elettorale, quella vera è la paura dei pachidermi d’imbattersi in fastidiosi inciampi nella pesante corsa al potere. D’altronde l’arte – e sopratutto la dimensione artistica della letteratura – è da sempre il genere più censurato e perseguitato: ogni dittatura tenta di controllare il potere dell’immaginazione e della fantasia per non arrecare scompiglio alla dittatura del pensiero, alla quale è strettamente legata la capacità di scegliere il mondo nel quale abitare. Erode e i suoi chierichetti anche quest’anno faranno capolino nei Vangeli. E anche quest’anno tenteranno di comperare l’intelligenza dei Magi senza riuscirci: quei tre sapienti sapevano distinguere la democrazia del Cielo da quella dittatura morbida che Erode amava definire democrazia. E che l’Italia sembra amare al punto tale da irridere i Magi e brindare ad Erode: d’altronde siamo nell’epoca dell’intelligenza.
(da Il Mattino di Padova, 16 dicembre 2012)