21929 539279232766294 300768173 nAndrea è morto. Si è tolto la vita, impiccandosi con una sciarpa. Questa è l’unica certezza, in una vicenda intricata, complessa ma anche oltremodo delicata, com’è sempre quando ci sono di mezzo ragazzi che potrebbe essere i nostri figli, fratelli, nipoti. E che, purtroppo, solo dopo questi tragici episodi ci accorgiamo di non ascoltare e non conoscere abbastanza. Ci rendiamo conto di quanto poco conosciamo chi ci sta intorno; e tocchiamo – drammaticamente – con mano la profondità dell”abisso dell’animo umano. Confusa, troppo confusa è questa vicenda per stilare giudizi credibili o cercare colpevoli. Al più, in questo momento, si possono solo trovare “capri espiatori”: nulla di più lontano dal concetto di giustizia (umana e, a maggior ragione, divina).
Tuttavia, assistiamo con preciso tempismo allo sciacallaggio di cui si trova vittima Andrea. Attivisti per i diritti omosessuali ne hanno indebitamente fatto il loro vessillo, assolutamente incuranti del parere del ragazzo (del resto, un morto può forse ribellarsi?). Ecco quindi l’ennesima violenza apportata ad un ragazzo che più indifeso non si può (nessun morto potrà mai difendersi o contrattaccare, per cui è difficile pensare a una mancanza di rispetto più vile di quella per i morti!). Attribuire l’omosessualità ad Andrea perché tale lo chiamavano con disprezzo, o – peggio ancora – per aver indossato dei jeans rosa mi sembra quanto meno superficiale. Può bastare il colore rosa a identificare l’omosessualità? Se ai suoi presunti (fino a prova contraria)  e ancora non identificati bulli questo è bastato, gridare all’omofobia in base alla medesima equazione (pantaloni rosa = gay) non dimostra forse che dietro al perbenismo di facciata, i colori non li vediamo tutti uguali e ci basta questo per fare di un ragazzo di 15 anni un gay “non dichiarato”? 
È di oggi la notizia di una quindicenne, che a Trieste si toglie la vita. Ma non è degna dell’attenzione mediatica, lei. E, naturalmente non è l’unica e – purtroppo – difficilmente penso potrà essere l’ultima vittima. Leggere le statistiche sui suicidi ha un che di disarmante. Un tempo gli anziani si suicidavano dalle 6 alle 8 volte in più dei giovani, oggi il suicidio è tra le prime 3 cause di morte tra i 15 e i 44 anni, e tra le prime due tra i 10 e i 24 anni, il 55% dei suicidi ha meno di 44 anni.Gli uomini si suicidano di più (dalle 2 alle 4 volte più delle donne) tranne in Cina, dove le donne battono gli uomini*. “In Italia, ogni anno, muoiono circa 4000 persone suicide. Una piccola cittadina che scompare. Nel mondo ogni giorno si contano tante vittime di suicidio quanto il numero dei morti per l’attentato dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle di New York” ci ricorda la criminologa De Vita.

La mia impressione è che abbiamo perso un’occasione, per riflettere, in modo serio, su una questione che non può non starci a cuore. Perché riguarda i nostri figli e i figli dei nostri figli. È un dramma di silenzio e incomprensione, oltre che un omicidio della speranza (perché chi sceglie di rinunciare a vivere, decide che non è possibile porre rimedio a ciò che di sbagliato è accaduto, in se stesso o nel mondo). Mi auguro che nessun altro possa diventare vittima dell’ideologia, diventando strumento di propaganda, da morto e senza il proprio consenso. Al contrario, possa essere questa un’occasione in più per riflettere e domandarci se stiamo facendo abbastanza oppure no per i nostri ragazzi. Se così fosse, forse, anche la sua morte inspiegabile riuscirebbe un po’ più accettabile.
Tanti sono i punti contrastanti di questa vicenda. Si è parlato subito di omofobia come causa scatenante. Naturalmente, non è da escludere; tuttavia perché è stato pressoché taciuto dalle principali testate un dettaglio che non è affatto di poco conto, quale la separazione (da un mese) dei genitori di Andrea, con il distacco della madre da lui e dal fratellino minore (era tornata a vivere in Calabria)? Fatti del genere, in molti casi sono motivazioni di suicidio, specie negli adolescenti! La pagina accusata di essere il mezzo del bullismo, contiene, tra i tag, nomi ben visibili e conosciuti al ragazzo stesso: questo mi fa propendere per l’ipotesi che tale pagina fosse effettivamente nota al ragazzo, che avrebbe potuto anche prenderne parte; in aggiunta, dalle informazioni della pagina il motivo principale delle prese in giro risiede nella sua pessima grafia, a motivo della quale il suo nome, Andrea Spezzacatena, sembrava essere invece “Qndria Iperracatina”. Questo, sia ben chiaro, non esclude affatto la pista del bullismo: semplicemente evidenzia come sia quanto meno anomala la gestione di atti di questo tipo tramite quella pagina, che chiama direttamente in causa amici e compagni di classe del ragazzo. La madre assicura che il ragazzo, se fosse stato gay, gliel’avrebbe senz’altro detto, in quanto educato al rispetto e alla libertà; ma accusa anche la scuola di non averle detto nulla di vessazioni o intimidazioni che il ragazzo avrebbe subito. Questa seconda affermazione mette in discussione la prima: se il ragazzo si sentiva così libero, avrebbe informato la madre delle violenze verbali subite. Ovviamente, questo non giustifica le possibili omissioni di comunicazione della scuola né rende automatico il fatto che il ragazzo sia stato gay. Il dipinto che ci viene rilasciato di lui è di un ragazzo creativo, solare, estroverso, che aveva moltissimi interessi: suonava il pianoforte, leggeva moltissimo da quando era piccolo, si era iscritto a orienteering e si allenava per la maratona. Nulla, insomma poteva far pensare a un ragazzo annoiato, depresso, sofferente. Anzi, tutt’altro; almeno, in apparenza! Poi c’è quella ragazza, una sua coetanea, di cui era innamorato, “di un amore delicato e romantico”, ma “non corrisposto”: il padre racconta che avrebbe costruito un pupazzo di neve finta per lei, ma che qualcuno, rubandogli la password aveva scritto una frase oscena sul profilo facebook di lei (i due si sarebbero poi chiariti). Anche il filone “romantico”, del resto, è un motivo classico che ha spinto tanti al suicidio. Già in questa breve (e sicuramente non esaustiva!) panoramica su di lui vediamo come la sua personalità ricca e complessa avrebbe potuto trovare diverse situazioni ingrano di urtare la sua sensibilità.Tuttavia, non voglio cadere nel tranello e utilizzare questo dettaglio, forzando la mano, per prendere decisioni al posto di Andrea. Io penso che a quindici anni si è ancora troppo piccoli per capire chi si è, ci si sta ancora scoprendo, in un tumulto di cambiamenti psicofisici, che, per i maschi, sono forse ancora più prepotenti. Qualcuno è arrivato addirittura ad affermare che l’adolescente fosse gay ma non lo ammettesse: questo mi sembra francamente spingersi un po’ troppo in là nelle elucubrazioni mentali, a maggior ragione se si tratta di persone che non l’hanno mai conosciuto.  L’unica cosa che posso dire al riguardo, con probabilità di errore non troppo alta, è che molto probabilmente era un ragazzo che si faceva domande e che stava scoprendo chi fosse. Una vita interrotta a quindici anni non ha il diritto di essere decifrata a posteriori. Una volta interrotta, resta tale, cristallizzata nel suo essere ancora in divenire, ancora indefinita, come un gomitolo ancora ingarbugliato di fili di tutti i colori, la cui logica deve ancora essere compresa. E, se Andrea non si è pronunciato al riguardo, mi sembra solo un’ulteriore violenza nei suoi riguardi prendere il suo posto persino per decidere chi sia, per poi addirittura relegarlo in una angusta categoria, così limitante per una personalità che è stata descritta come libera e creativa! 
L’ignoranza dilaga a tal punto che qualcuno riesce addirittura a tirare in ballo il Vaticano come colpevole con commenti del tipo “Cosa ti aspetti in Italia, che c’è il Vaticano?”. Peccato che sia la madre stessa, al contrario, a sottolineare che  «a scuola aveva un bel gruppo, un gruppo ‘sano’, ma ‘era una ristretta cerchia’, alcuni amici veri come quelli della scuola vaticana che hanno portato in spalla la bara». A uno stravolgimento tale (e anche oltre, credo!) può giungere l’ignoranza, in compagnia dell’approssimazione! E se consideriamo che l’unica colpa finora accertabile è sicuramente l’omissione dovuta all’approssimazione capiamo che non è cosa da poco. Perché se un ragazzo che tutti definivano “solare, allegro, autoironico” arriva a togliersi la vita, significa che lui ha giocato un brutto scherzo, ma che chi gli stava intorno non è riuscito a “leggerlo” con sufficiente attenzione. Perché un suicidio non è mai un “fulmine a ciel sereno”, quanto piuttosto”la goccia che fa traboccare il vaso”; ma è impossibile vedere la goccia determinante, se non ci siamo ancora accorti che il vaso si sta “riempiendo”.
Chi può dire di sapere la verità con certezza? Probabilmente nessuno, in questo momento. E non sarebbe strano neppure che nessuno riesca a sapere la verità neanche al termine delle indagini. E questo non è necessariamente una sconfitta: anz!.
È necessario chiudere ricordando un dettaglio, troppo spesso ridimensionato o generalizzato. Davvero l’animo umano è un abisso. Porta con sé un mistero che non potrà mai essere sufficientemente investigato, così da poter affermare di averlo completamente penetrato, che non abbia più segreti. Non possiamo dirlo per l’uomo in generale; ma non possiamo dirlo neppure per nessun uomo in particolare.
C’è un mistero che ci sfugge, per cui non possiamo mai “possedere” completamente la piena essenza altrui. E, probabilmente, neppure la nostra. La vita intera è un cammino alla scoperta di noi stessi e forse neppure in punto di morte ci saremo conosciuti a sufficienza. Voler conoscere la Verità è lodevole, ma credo sia necessaria anche la consapevolezza che c’è un Mistero che, pur dandoci significato, travalica la nostra possibilità di comprensione. A volte questa consapevolezza può darci la serenità, altre volte farci rabbrividire di paura, ma a questo mistero non possiamo rinunciare, perché è proprio questo che arricchisce l’uomo, rendendolo una creatura mai uguale e sempre ricca di fascino.

*Fonte: WHO, World Health Organization

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