cuore

Come una musa abitata dalla vecchiaia: le spalle appena incurvate dai secoli, le smagliature sul volto a tracciarne l’anagrafe, lo sguardo docile e appuntito di chi ne ha viste tante nella sua vita. Eppur ringiovanita dai colori di quella bellezza che appartiene alle cose nobili ed eterne, quella che scomparsa dal volto s’intrufola ad impossessarsi degli spazi del cuore. Sono millenni che la citano dei tribunali, la irridono nelle strade, l’accusano di ubriachezza quando apre la sua bocca; lei, nobile al pari di chi le ha dato la vita, danza sinuosa a rilanciare la sfida. Il suo volto è misterioso, seppur di quei lineamenti sia debitrice l’arte e la musica, la letteratura e l’ospitalità, la storia e le leggende. Ne hanno studiato le tracce e gli accoppiamenti, i prodigi e le nefandezze, il suo lato visibile e quello invisibile. Nei suoi occhi qualcuno ci legge profumo di cielo e sapore di eterno, qualche altro l’odore dell’incenso e il tintinnìo delle monete: essa, però, rimane pur sempre l’unica traccia di quell’Uomo che al mondo un giorno porse il dono della speranza. E insegnò pure ad apprenderne l’alfabeto.
Quell’Uomo nulla scrisse di ciò che nelle biblioteche oggi si legge: di Lui rimase solo lei, flebile e contestata voce dentro l’inferno paradisiaco della storia umana. Senza di lei oggi delle Novella Buona non raccoglieremmo l’eco di nessuna sillaba. Avrebbe potuto Lui, apprendista garzone capace di parola, scrivere rotoli di papiro. Preferì giocare d’azzardo: consegnare quelle parole ad un gruppo di discepoli, che a loro volta hanno acceso altri discepoli. Ecco spiegato il mistero di una presenza ingombrante e paradossale come la Chiesa: senza di lei parleremmo di Lui come si parla di Carlo Magno e di Cesare Augusto, di Napoleone Bonaparte e di Leonardo da Vinci, di Vitruvio o di Thomas Edison. Partito Lui, è rimasta lei come gancio in mezzo alla storia. A gettare un’occhiata nei suoi occhi c’è il profumo di una casa patriarcale: sedie che talvolta mancano di un piede, tavoli macchiati d’inchiostro e di minestrone, scatole di marmellate che si svuotano da sole nelle dispense. Eppure nessun disordine toglie a quelle mura la sensazione di una casa, di quello spazio misterioso e genuino che ti fa sentire al sicuro anche quand’è buio. Come una vecchia massaia dedita alle faccende domestiche è la mia Chiesa, questa vecchia anticaglia della quale provo oggi mistica nostalgia.
Tante volte le sbatto le porte e la maledico; eppure al sorgere del sole torno ad amarla come nei romanzi più belli che tessono lodi agli amanti ritrovati. La sua presenza a volte infastidisce e incupisce, eppure è a lei che devo il racconto dell’Uomo che la storia additò come spartiacque tra il prima e il dopo, tra il calcolo e la follia. Di lei maledico scandali e potere eppure nel silenzio il più delle volte mi cosparge del profumo di santità nascosta. A volte m’appare falsa e infida, oscurantista e retrograda, fuori moda e fuori onda: ma poi basta una sillaba per difendere ciò che il mondo stupidamente disprezza. E poi quell’uscio, sempre ad un passo dall’essere da me abbandonato, per poi cullare quel dolcissimo sogno d’essere da lei protetto in sul calare della mia esistenza. Troppe volte sogno un’altra Chiesa: più alla moda, meno signora e più lavandaia, lontana dagli occhi della nobiltà e familiare agli odori dei bassifondi, dimentica delle vesti e spavalda nella sua nudità. Sempre lì, sul ciglio di un abbandono pronto a professarsi. Per poi poco dopo scoprire che di lei basta una flebile sussulto per accendere una domanda: “senza te, dove andrei?”. Come zingaro sotto la volta del cielo, nomade spaesato tra mille voci confuse.
Al calare di un altro anno liturgico torna Lui, Re dell’Universo. E torna abbracciato a lei, amante dagli occhi perdutamente imbevuti di mistero. Torna per ricordarci di amarla questa sua Chiesa, anche se magari tanti giorni non è la Chiesa dei nostri sogni. In quel volto scapigliato rimane pur sempre la nostalgia di una Speranza che ha acceso la festa nel cuore della storia.

Facciamo un bilancio di ciò che ci è rimasto e ditemi se non ci convenga interrogare ancora una volta Cristo, stargli vicino un attimo. Vicino a un povero, a un reietto, a un condannato, a un crocifisso, non vi potete trovare a disagio. Cristo è dei vostri, non v’è ragione che vi mostriate diffidenti (…) Può darsi, se l’accostate così, che le impalcature di ogni genere che gli avete visto d’intorno, non le vediate più; che parecchie cose che continuano a circolare sotto il suo nome, non siano sue: che lo vediate finalmente, com’è e come vuole essere visto: fratello, guida, salvatore (…) in un momento in cui non abbiamo né fratelli, né guide, né salvatori (…) Ecco, Egli è con noi, la pietra angolare della novità che vogliamo.
(P. Mazzolari, Incontri e scontri con Cristo, a cura di D. Porzio, vol. II, Ferro-Massimo, Milano 1971, 469-470)

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