missionario

Con la barba lunga, i sandali ai piedi e il profumo di foresta tra i capelli. Perchè così ce li siamo sempre immaginati i missionari: poveri tra i poveri, con la nostalgia di terre lontane ad accendere i passi e la candela della fede da accendere in terre miscredenti. Se agosto è il mese del sollazzo al sole sulle spiagge e settembre il mese della transumanza e della vendemmia, ottobre è il loro mese, tant’è vero che ormai è consuetudine – sopratutto laddove si respira aria di Chiesa – chiamarlo “ottobre missionario”. A fargli da “incipit” la festa degli Angeli Custodi che è quasi un augurio e un auspicio: diventare angeli per coloro che nella vita hanno le ali ferite dalla miseria o dalla disperazione, il segreto ambizioso del cristianesimo: scrutare il fratello con lo sguardo di Cristo. A fargli da degna chiusura la festa di tutti i Santi: che oltre ad essere un augurio è anche una sfida, ovverosia diventare pure noi santi attraverso l’umile e silenzioso lavoro di tutti i giorni. Nel mezzo un mese intero che la Chiesa dedica per celebrare la sua dimensione missionaria: nata per entrare dentro le strade del mondo – nonostante l’uomo tenti in tutti i modi di relegarla dentro gli angusti spazi delle sacrestie e delle navate affrescate – la Chiesa sarà chiamata sempre ad essere immagine del suo Dio la cui Parola è messaggio di salvezza e di speranza per tutti gli uomini che si scervellano sotto il cielo.
Eppure qualcosa non quadra se il Papa, uomo capace di lungimiranza e di profezia, è tornato a parlare di nuova evangelizzazione pensando all’Europa. Il che ci costringe a ridipingere i tratti del missionario: non più la barba lunga e i sandali ai piedi a tutti i costi, ma il desiderio nel cuore di far conoscere il volto di Cristo all’uomo che gli cammina accanto. Annunciare Cristo a chi non l’ha mai conosciuto permette di giocare il “fattore novità”: l’eco del Suo nome, laddove prima mai era stato udito, significa primavera che s’accende, fantasia all’opera, fermento di creatività. Annunciarlo ad una società che da secoli ne ha decretato l’inutilità e la morte è per certi versi una terra di missione più ostica da lavorare: al “fattore novità” il mondo contemporaneo chiede il “fattore credibilità”, ovverosia mostrare con la testimonianza della vita che il cristianesimo ha ancora una parola da dire all’uomo cercatore di felicità. Ecco perchè oggi la missione non ha più solo i lineamenti dell’America Latina, della terra d’Africa o delle sconosciute praterie asiatiche. Oggi terra di missione è anche la nostra città con le sue innumerevoli periferie dove regna la solitudine e l’abbandono, la disperazione e l’angoscia, la malinconia e la nudità. Perchè povero non è solo chi manca del pane ma anche chi è a corto di sogni e di desideri, di speranze e di aspettative, di futuro e di luce. Laddove c’è anche un solo uomo che si alza di primo mattino e fatica a raccogliere un senso al quale aggrapparsi per far camminare la sua giornata.
Gettare una monetina – nel linguaggio ecclesiale i diminutivi tendono sempre a far nascere la compassione, ndr – nella cassetta in mezzo alla chiesa per i missionari è un gesto di umana attenzione e di carità. Con una speranza nel cuore: che tale gesto non basti per dispensarci dall’essere missionari per conto di un Dio che non ci chiede di fare voli trans-oceanici per fare del bene ma che, magari importunandoci, ci ricorda che il vero missionario altro non è che colui che non si vergogna di testimoniare il suo Dio ad un mondo che volentieri ne farebbe a meno. Ecco perchè accanto alla cassettina con scritto “Un pane per amor di Dio” sarebbe auspicabile mettere un mappamondo con una fessura sulla cima. E scriverci davanti: “Una parola per amor di Dio”. Perchè a chi manca del pane basta una moneta per vivere; ma chi manca di speranza cerca una Parola alla quale aggrapparsi.
Per non morire di disperazione.

(da Il Mattino di Padova, 7 ottobre 2012)

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