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Chi di loro s’è innamorato fino a difenderle in mondovisione, probabilmente soffre della “sindrome della pizza”: c’è chi la pizza ama mangiarla tutta d’un gusto e chi ama mangiarla a spizzichi. A mangiarla in un modo o nell’altro non cambia poi tanto: è dai tempi dei latini che circa i gusti non è bene disputare. Ma qualora al posto della pizza ci mettessimo il pensiero dell’uomo – ovverosia ciò che ha il potere di rendere l’uomo e la società più o meno umana – allora la questione cambia: il pensiero dell’uomo, magari espresso con una provocazione, non può essere disgiunto dalla sua totalità. Sarebbe come se un uomo amasse una donna che esiste solo nella sua fantasia o, tutt’al più, realizzabile con photoshop: il volto di Naomi Campbell con le gambe di Alena Seredova, impreziosito dai fianchi di Irina Shayk e contornato dal seno di Miranda Kerr per finire con gli occhi di una donna saudita. Impossibile in natura, oltreché poco rispettoso, unire parti di donne diverse e crearne una che ne sia la somma. E’ un po’ quello che sta succedendo in Russia ad opera delle Pussy Riots, tre donne che hanno fatto della blasfemia e della provocazione il loro biglietto da visita e che hanno raccolto la solidarietà di cantanti e personaggi dello spettacolo che non hanno tardato ad ergersi a loro difesa.
Le “cattive ragazze di Mosca” sono state tacciate d’essere contro Putin e la sua politica. In realtà queste donne sono andate oltre, fino a definire “puttana” il patriarca ortodosso della Chiesa di Mosca e irridendo la liturgia ortodossa ripetendo il ritornello “la merda, la merda, la merda del Signore”. Gridata e osannata in faccia al mondo, nella cattedrale di Mosca, uno dei luoghi più santi dell’ortodossia russa. La sensazione non troppo velata è che queste tre ragazze vogliano qualcosa di più di una semplice scomparsa dello zar Putin: vogliono il distacco da una società patriarcale, dal capitalismo, dalla religione e dalla morale convenzionale. E’ la risposta di una Russia che si sta svegliando di colpo e vuole recuperare il tempo perduto sotto la pesante dittatura del pensiero e dell’immaginazione. Con un forte accento di cristianofobia: non per nulla alcune delle loro sostenitrici – “le contestatrici in topless” Femen – non hanno tardato ad abbattere quella che non era una semplice croce, ma un crocifisso con l’immagine di Gesù Cristo gettato nella polvere sotto il grido di slogan anti-religiosi. La provocazione e il dissenso nel corso della storia hanno fatto fare passi da gigante al pensiero e alla dignità della società. La Russia stessa annovera tra i suoi figli gente che ha pagato forte il prezzo delle loro idee: Pasternak, Sakharov, Sharansky, Solgenitsyn. Con una colossale differenza: costoro, armati di ben altro spessore culturale e levatura morale, nutrivano profondo rispetto per la tradizione russa e un amore sincero per il loro paese. Aspetti che, a ben vedere, sono lungi dall’animare questa specie di provocatrici incapaci di mostrare che il loro pensiero è una sfaccettatura di una rivoluzione più grande e organizzata finalizzata al bene di un intero popolo.
Nulla impedisce che qualcuno si levi in loro difesa. A patto che non le si prenda “a spizzichi”. Chi accetta di sposare la loro causa e le loro battaglie accetti non solo il femminismo divertente, pseudo-democratico e ostile a Putin ma anche le provocazioni sessuali (nel 2008 una delle tre, al nono mese di gravidanza, ha partecipato ad un’orgia pubblica in un museo di Mosca), l’anarchismo incendiario e le oscenità esibite. Altrimenti quella che potrebbe sembrare una battaglia di civiltà e di sano femminismo finirebbe – come l’ha descritta in questi giorni un giornalista russo, Vadim Nikitin – col diventare “la morale ipocrita dell’Occidente”. Quello che dopo aver inventato la pizza, ha reso di moda il mangiarla “a spizzichi”. Esportando lo stile anche fuori dalle pizzerie.

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